Assedio delle milizie. La Libia ritorna nel caos "Non si va più a votare"

Il siluramento del capo militare di Tripoli scatena il blitz. Ma il nodo sono i candidati

Assedio delle milizie. La Libia ritorna nel caos "Non si va più a votare"

In Libia comandano sempre le milizie. E lo hanno dimostrato nelle ultime ore mostrando i muscoli con armi e bagagli a Tripoli in vista delle elezioni del 24 dicembre, che verranno rimandate per evitare che tornino a parlare le armi.

La scintilla è stato il siluramento del responsabile militare della capitale, Abdel Basset Marwan. L'alto ufficiale è sempre stato in rotta di collisione con la Brigata 444, una milizia guidata da Mahmoud Hamsa seguace dell'Islam salafita. Al posto di Marwan è arrivato Abdel Qader Mansour, vicino alla 444, e fautore di importanti operazioni militari come Al Bunyan Al Marsous (muro impenetrabile), che ha cacciato l'Isis da Sirte.

Il comandante escluso ha mobilitato le milizie che lo appoggiano e sono invise alla 444 come gli altri salafiti della Forza speciale di deterrenza e il gruppo armato dei Martiri di Abu Slim. In appoggio a Marwan, il nuovo capo del distretto militare di Tripoli, altri miliziani hanno preso posizione nei gangli della capitale. Il risultato è che gruppi armati si sono schierati, nella notte fra mercoledì e giovedì, attorno agli obiettivi sensibili a cominciare dalla sede del premier Abdel Hamid Dbeibah, il ministero della Difesa e dell'Interno. Nel caos libico sembrava un golpe, ma in realtà è l'ennesimo braccio di ferro fra le milizie che hanno portato il paese al disastro dopo la caduta di Gheddafi.

«Per ora non si è sparato un colpo, ma la tensione si taglia con il coltello» spiega una fonte riservata del Giornale a Tripoli. I membri del Consiglio presidenziale sono stati trasferiti in un luogo sicuro dopo aver ricevuto informazioni su possibili attacchi alle loro residenze.

«Il casus belli è la sostituzione del comandante del distretto militare, ma la mobilitazione riguarda da vicino le elezioni previste il 24 dicembre. O ancora meglio la lista dei candidati, che non è stata ancora resa nota» rivela la fonte. Se ci fosse anche il nome di Seif el Islam, il figlio intelligente del colonnello Gheddafi, che grazie ad un ricorso è riuscito a farsi ammettere, potrebbe riesplodere la guerra civile. «Se le elezioni fossero un minimo corrette Seif vincerebbe con il 60-70% dei voti» è convinta la fonte del Giornale. Non a caso Misurata, la Sparta libica, si rifiuta di riconoscere il processo elettorale fino a quando non si terrà un referendum sulla Costituzione.

Il comandante della brigata Al Samoud, Salah Badi, aveva dichiarato mercoledì che «non ci saranno elezioni presidenziali». E lanciato un video appello al golpe annunciando di voler chiudere tutte le istituzioni nella capitale. Badi, già sottoposto a sanzioni internazionali, può contare come la brigata 444 sull'appoggio dei turchi, veri dominus del destino libico. L'Italia sembra assente e nonostante l'ambasciatore americano, Richard Norland, continui a volere il voto ad ogni costo è probabile che lunedì verrà annunciato il rinvio. Ieri Abu Bakr Marada, membro dell'Alta commissione elettorale libica, ha ammesso che «è impossibile» che le elezioni si tengano il 24 dicembre.

Se a Tripoli si schierano le milizie a sud si rinforzi inviati dal generale Khalifa Haftar vogliono spazzare via i governativi dalla strategica Sebha.

L'unica che sta cercando con abilità di sbrogliare la matassa libica, magari per un rinvio concordato e non illimitato delle elezioni, è Stephanie Williams, nominata dal segretario generale delle Nazioni Unite consigliere speciale per la Libia. Un'ex diplomatica americana da tenere d'occhio.

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