I l colpo del cecchino arriva secco come una staffilata. Prima sibila a un metro dalle teste di cinque soldati russi fermi davanti a un blindato e poi su quella del sottoscritto che li sta filmando. All'improvviso è il panico. Il convoglio di giornalisti siriani fermo in mezzo alla strada sgasa via a tutta velocità rischiando d'investire sia i russi, sia il sottoscritto. Wasseem, la mia guida, mi spinge verso una trincea distante un centinaio di metri nascosta dietro una barriera di ondulato alta parecchi metri. Dentro la trincea file di barili riempiti di sabbia e allineati per centinaia di metri disegnano un'incerta prima linea.
Jisreen la città ribelle da dove i cecchini ci tengono sotto tiro, dista meno di un chilometro in linea d'aria. La sua moschea, le sue case diroccate, il suo confuso e devastato perimetro sono un deserto surreale. Un deserto da cui riecheggia - di tanto in tanto - il frastuono dei jet siriani e russi in picchiata seguito dal boato e dal tremore di bombe e missili. Da 24 ore fonti russe e siriane danno per imminente il crollo di Ghouta, il sobborgo ribelle alla periferia orientale di Damasco rimasto per oltre sei anni nelle mani dei ribelli. La resa della cittadina di Beit Sawa avrebbe consentito all'esercito siriano di spingersi fino ai margini dei villaggi di Hammouriye e Maderira, tagliando in due le posizioni nemiche e chiudendole in un doppio insopportabile assedio. Ma le notizie stentano a trovare conferma sul terreno. La prevista visita a Beit Sawa offerta dall'esercito a chi scrive e ai giornalisti siriani è stata cancellata già da varie ore. Ed adesso anche l'accesso alla prima linea di Jisreen rivela tutta la sua complessità.
Una complessità non irrilevante visto che qui l'esercito russo e quello siriano hanno fissato il punto d'arrivo del «Naber Jisreen», il «corridoio di Jisreen» progettato per consentire ai civili di abbandonare le zone ribelli e consegnarsi ai soldati russi e a quelli siriani. «In base agli accordi sulla riconciliazione - spiega un ufficiale siriano a patto di non venir menzionato - chi vuole arrendersi può presentarsi qui da noi e, se non è un militante straniero e non è legato a gruppi terroristici come Jabat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida, garantiamo sia a lui, sia alla famiglia il reinserimento nella società».
Per sostenere gli accordi è arrivato anche un generale russo comandante di un'unità che esibisce le insegne di un non meglio identificato «Centro per la Riconciliazione». In effetti il vero garante degli accordi di riconciliazione sembrerebbe essere proprio l'esercito di Putin. E così il generale, affabile ma refrattario a qualsiasi incontro ravvicinato con la stampa, si ritrova circondato dai leader delle tribù di Ghouta. I veri mediatori in questa inestricabile guerra civile che in questa zona continua a dividere famiglie e clan, sono proprio loro, i capi tribali.
Tra una discussione e l'altra con il generale e gli ufficiali siriani tirano fuori i cellulari e spiegano alle famiglie intrappolate nelle zone assediate come si sta evolvendo la situazione. «In questi anni - spiega Alì Hussein Ahmad, sceicco delle tribù Jimlan - i nostri civili sono stati divisi dalla guerra. Chi era nelle zone occupate dai ribelli magari si è anche arruolato e ha combattuto con loro. Chi stava dalla parte del governo ha fatto lo stesso. Ma ora il tempo della guerra fratricida è finito. Solo a Jisreen in questo momento ci sono 500 membri dei Jimlan pronti a deporre le armi. Il problema è che i ribelli non li lasciano uscire. Per farli passare pretendono che abbandonino le auto, le pecore e il bestiame. E questo non è possibile».
Ma Jamil, uno sceicco arrivato dalle zone ribelli, ha un'altra spiegazione. «Oggi in teoria doveva esserci un cessate il fuoco, ma come potete sentire anche voi i bombardamenti non si fermano.
Anche oggi i loro jet hanno continuato a lanciare missili e bombe seppur a ritmo più ridotto. Finche il governo e i russi continueranno a colpirci nessun civile si muoverà. Hanno troppa paura. E soprattutto non si fidano più di nessuno».
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