Atenei, i fondi ci sono. Manca una vera riforma

Le polemiche con il ministro

Atenei, i fondi ci sono. Manca una vera riforma
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È un vero scontro quello che in queste ore è in atto tra la Crui, l'associazione dei rettori delle università in presenza, e la ministra dell'Università, Annamaria Bernini (nella foto), contestata in ragione del fatto che avrebbe «tagliato» le risorse a disposizione degli atenei pubblici. In realtà, l'esponente del governo ha replicato con ottimi argomenti a partire dal fatto che, in questi anni, le università sono state inondate di risorse, grazie al Pnrr, di cui in più casi è stato fatto un utilizzo discutibile.

Secondo la ministra i toni usati dalla presidente dell'associazione Giovanna Iannantuoni sono tanto apocalittici (perché a dire della Crui si metterebbe «a rischio la sopravvivenza stessa dell'università statale italiana») quanto fuori luogo: in effetti i bilanci delle università hanno un attivo di 950 milioni e i fondi straordinari sono a loro disposizione dal 2022.

Il problema di fondo è che quanti lavorano nelle università di Stato guardano alle tasche dei contribuenti come a un bancomat e non si pongono alcuno scrupolo dinanzi alle richieste più esose. Agiscono come un gruppo d'interesse assai influente, ma si nascondono dietro alla favola secondo cui più soldi si danno nell'università e meglio è. Quando in realtà, come sempre, è decisivo l'utilizzo che se ne fa.

È terribile constatare come da parte della Crui vengano soltanto richieste ad avere più risorse, oltre che a restringere la concorrenza tra atenei. Invece che puntare ad avere un sistema universitario maggiormente aperto e competitivo, gli «incumbent» (quanti controllano quasi monopolisticamente il mercato e dispongono di finanziatori che non possono sottrarsi, noi stessi) pretendono dal governo ulteriori risorse, dopo avere fatto un uso non sempre efficace dei fondi speciali del Pnrr, che hanno dilatato il debito pubblico.

Quali proposte vengono dalla Crui per ridurre il peso soffocante della programmazione che predefinisce come un vecchio Gosplan sovietico cosa per tre anni si potrà fare e cosa non fare? In che modo le università intendono mettersi più al servizio degli studenti (oggi al margine del sistema) e ridurre il carattere autoreferenziale di università gestite dai docenti per i docenti? Come pensano di migliorare la governance degli atenei, gestite da professori talora senza alcuna competenza e formazione in questioni d'impresa? Come ridurre la burocrazia soffocante? E infine: in che modo vogliono fare la loro parte per difendere le future generazioni dall'indebitamento di Stato? Su questi temi la Crui appare silente.

Un consiglio, infine, alla professoressa Iannantuoni: non dica mai più, come ha sostenuto sul Corriere della Sera, «non siamo una consorteria né un sindacato che difende interessi di parte».

In retorica si chiama «premunizione» la figura che controbatte a potenziali obiezioni. Il guaio è che il più delle volte si finisce con una «excusatio non petita, accusatio manifesta» (scusa non richiesta, accusa manifesta). Qualcuno potrebbe iniziare a nutrire qualche sospetto.

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