Politica

Attentato a Istanbul per colpire gli Stati Uniti

La sigla di estrema sinistra Dhkp-c (Partito-Fronte di liberazione del popolo rivoluzionario) ha rivendicato l'attacco di ieri mattina al consolato Usa di Istanbul. Il gruppuscolo di ispirazione marxista-leninista ha motivato l'azione definendo gli Stati Uniti «nemici dei popoli del Medio Oriente». L'attacco è stato condotto con un'autobomba, e la sparatoria che ne è seguita ha provocato la morte di un guerrigliero e il ferimento di un secondo, una donna che è stata catturata dalla polizia turca. Già nel 2013 lo stesso gruppo aveva attaccato l'ambasciata americana ad Ankara.

Chi dunque aveva collegato l'azione terroristica a Istanbul con i curdi, attualmente sotto attacco da parte turca, si era sbagliato. Ma rimane il fatto che gli ultimi conflitti hanno portato prepotentemente alla ribalta la questione curda, cioè il dramma del più grande gruppo etnico del mondo - 30-35 milioni di persone sparse su un territorio di quasi mezzo milione di kmq diviso tra quattro Paesi – privo di unità nazionale. Adesso potrebbe essere arrivata l'ora della rivincita. Nelle guerre irachene, nel conflitto siriano e ora nella guerra contro l'Isis i Curdi sono sempre stati dalla parte giusta e si sono conquistati forti simpatie in Occidente prima con il contributo essenziale dato per fermare gli jihadisti nella loro avanzata su Bagdad e poi con la eroica difesa di Kobane. Le loro milizie sono considerate da tutti come l'unica forza in grado di tenere testa sul terreno ai fanatici del Califfato. Nell'Unione Europea c'è già un orientamento di fondo favorevole alla creazione di una nazione curda, nonostante le enormi complicazioni politiche che questo comporterebbe, e anche gli americani che «proteggono» i curdi iracheni fin dal 2003 contro Saddam Hussein sono restii ad appoggiare la loro rivendicazione di indipendenza solo per non scontrarsi con l'attuale governo iracheno. Il mondo degli affari considera il Kurdistan e la sua capitale Erbil come l'unica parte dell'Iraq, se non di tutto il Medio Oriente, in cui la giustizia funziona e si può oggi investire con profitto.

Il problema principale dei Curdi è che sono disorganizzati, divisi in clan, spesso anche in conflitto tra di loro e soprattutto privi di un punto di riferimento riconosciuto da tutti. Stati Uniti e Turchia hanno concluso la scorsa settimana un accordo che impegna Ankara a combattere con maggiore energia il Califfato, verso il quale aveva mostrato una colpevole tolleranza, ma nello stesso tempo dà loro modo di bombardare gli uomini dell'Ypg che, al momento del Califfato Sono i più efficaci avversari. Dopo avere per dieci anni trattato con il Pkk e con il suo leader Ocalan, in prigione da dieci anni, facendogli varie concessioni in cambio della fine di una guerriglia che aveva fatto 30mila morti, Erdogan ha improvvisamente cambiato politica dopo che i Curdi hanno fondato un proprio partito che ha ottenuto il 13% alle ultime elezioni. Nel giro di pochi giorni c'è stato un sanguinoso attentato dinamitardo a Suruc e tutti si aspettano ora una piena ripresa delle ostilità.

Il «Sultano», che per un certo tempo contava sul voto curdo per ottenere le modifiche costituzionali che cerca, sa tuttavia per esperienza che, se il «popolo senza nazione» si ribellasse in massa, la Turchia sud-orientale diventerebbe incontrollabile.

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