Coronavirus

Australia batte Djokovic. Segregato in aeroporto e poi rimandato a casa

Rifiutato l'ingresso dopo una notte chiuso in una stanza. E il mondo del tennis lo condanna

Australia batte Djokovic. Segregato in aeroporto e poi rimandato a casa

Abituato a giocare sempre uno contro tutti, questa volta Novak Djokovic si è spinto un po' troppo in là. Tanto che la vicenda della sua partecipazione agli Australian Open grazie a una misteriosa esenzione è diventata un film tipo The Terminal. Avete presente quel tipo costretto a vivere rinchiuso in aeroporto per mancanza di visti? Ecco, peggio: perché dopo una notte passata in isolamento all'aeroporto di Melbourne il numero uno del mondo è stato rispedito a casa. L'Australia non gli ha perdonato il post beffardo su internet che annunciava la sua partecipazione agli Open - vinti già nove volte sui 20 Slam in bacheca - grazie a una misteriosa esenzione. Un pass e un'immagine che stonavano davanti all'emergenza Omicron che sta di nuovo allertando il Paese. Infuriato per la mancanza di delicatezza del tennista più famoso di tutti.

E allora: alle 23.30 Novak sbarca sereno dall'aereo ma viene fermato subito alla frontiera. Comincia così un ping pong tra stato di Victoria e governo federale, pronti scaricarsi gli uni sugli altri la responsabilità di una decisione. Mentre dai notiziari del mattino ai dibattiti social durante la giornata, il resto d'Australia ha già preso la sua decisione: tutti contro uno. Il resto è da festival del grottesco: si scopre che il visto chiesto da Djokovic per entrare non giustifica esenzioni mediche per il vaccino, le stesse per le quali Tennis Australia aveva concesso la famigerata esenzione. E Craig Tiley, il capo, per mettere una pezza riesce perfino a peggiorare le cose: «Sono state 26 le esenzioni richieste. Quante ne sono state accettate? Una manciata». In realtà le 26 richieste sono avvenute da «giocatori, allenatori, arbitri, personale accreditato» (e sembra ormai sempre di più che il giocatore sia stato uno solo), e poi comunque: a quanto ammonta la manciata? Non è stato dato sapersi.

Così Djokovic rimane nel limbo, interrogato fino all'1.15 di notte, separato dal team e messo in isolamento in una stanza senza cellulare e con due guardie alla porta. Una specie di pericolo pubblico numero uno, tanto che il padre Srdjan, da Belgrado, a un certo punto minaccia moti di piazza se non fosse avvenuto il rilascio del figlio. Tuonando: «È una battaglia per la libertà e per il resto del mondo!». Più semplicemente il ministro degli Interni Karen Andrews aveva già chiarito: «Ogni individuo che cerca di entrare in Australia deve rispettare i severi requisiti di frontiera del governo del Commonwealth». E per Novak, sono le 7.30 del mattino, si mette male: filtrano indiscrezioni di una sua recente infezione al Covid nei sei mesi precedenti al suo arrivo a Melbourne (sarebbe la seconda volta), ma anche questo non basta per varcare la soglia del Paese. Resta la domanda: se fosse così, perché comunque non dirlo? «Sarebbe meglio che lui spiegasse», diceva ancora nel frattempo Tiley. Troppo tardi.

Insomma il danno è fatto, e l'esito del caso internazionale («Nessuna prova valida è stata fornita», è il verdetto) pesa sulla storia di un campione incredibile anche nel complicarsi la vita. «Siamo stati chiari - aveva chiuso la partita il ministro dello Sport Jaala Pulford -: l'approvazione dei visti è del governo federale, le esenzioni mediche sono dei sanitari». E chi, a proposito di film e tv, è un fan di Airport Security, a quel punto sapeva già come finisce al Tullamarine di Melbourne.

Ti rispediscono a casa, appunto.

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