Quirinale 2015

Tra autocandidature e paura di bruciarsi. Grasso ci prende gusto

Il presidente-supplente si gode il nuovo ruolo e ora è in pole position. Prodi si sfila, Violante si propone. Ma è solo il festival della pretattica

Tra autocandidature e paura di bruciarsi. Grasso ci prende gusto

Roma - C'è chi, per non bruciarsi, è scappato fino in Cile, come Walter Veltroni. Chi fa finta di chiamarsi fuori dalla corsa, come Romano Prodi. «Ho già fatto le mie dichiarazioni, sto passando una fase molto interessante e molto creativa della mia vita. Non voglio più essere in mezzo a queste tensioni e a questi problemi»: in realtà il Professore spera nel colpaccio. Chi si nasconde alla Consulta, come Sergio Mattarella. E chi si propone attraverso le interviste. L'ultimo esempio, fresco di giornata, Luciano Violante.

Ma c'è chi il capo dello Stato lo sta già facendo. Supplente, a tempo, a scadenza come il latte, intanto però Pietro Grasso sta là, a Palazzo Giustiniani, ed esercita i poteri e le prerogative che fino a mercoledì mattina erano nelle mani di Giorgio Napolitano. Il presidente del Senato ha delegato ai suo quattro vice la gestione di Palazzo Madama e, appoggiandosi alla rodata struttura del Quirinale, svolge i compiti della prima carica della Repubblica. Ha mandato un messaggio di «sollievo e soddisfazione» per la liberazione delle due cooperanti rapite in Siria, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Ha ricevuto il nuovo comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette. Ha persino convocato il sottosegretario alla presidenza con delega alla sicurezza, Mario Minniti, per fare il punto sul terrorismo internazionale e sui pericoli che corre l'Italia.

Grasso, nelle sue vesti di presidente provvisorio, si muove con cautela e discrezione. Nemmeno lui vuole bruciarsi, tanto più che il tam tam del Transatlantico lo da in risalita. In Italia, lo sanno tutti, non c'è nulla di più definitivo del provvisorio, in più l'ex magistrato gode dell'appoggio di diversi giornali, il che non guasta mai. Il suo profilo, sostiene qualche osservatore, sarebbe perfetto se Matteo Renzi si sentisse talmente forte da provare ad applicare il «metodo Ciampi», cioè far eleggere il successore di Napolitano al primo scrutinio.

Per riuscirci senza aspettare il quarto voto, quando la soglia si abbassa a 505, al premier servirebbe un accordo a prova di bomba con i bersaniani, Sel, i centristi e i grillini dissidenti. Certo, Forza Italia è contraria a un pm, però, chissà. E se l'operazione-lampo sembra difficile, il nome di Pietro Grasso potrebbe ritornare buono nel caso di stallo.

Mancano quasi due settimane, siamo ancora nella fase della pretattica perché Renzi vuole lanciare il candidato soltanto il 28. L'ipotesi Mattarella continua però a reggere, soprattutto se si dovrà aspettare il quarto scrutinio. In alternativa, più staccato, Dario Franceschini. Se è vero che la prima mossa spetta al Pd, è anche vero che proporre un ex democristiano potrebbe essere più «unificante» che spingere un ex Pci-Pds-Ds. E così il borsino di oggi fa calare le azioni dei vari Veltroni, Fassino, Epifani. Ma domani è un altro giorno.

In ribasso appare pure Prodi, Doveva essere l'arma segreta della sinistra Pd, il ponte per agganciare i Cinque Stelle, Vendola e mettere in difficoltà Renzi votandolo fin dal primo scrutinio e costringendo Matteo ad accodarsi. Ma a quanto pare il premier ha fiutato la manovra ed è corso ai ripari, riuscendo a separare Bersani dalle altre minoranze interne. Se il «metodo Ciampi» non sarà praticabile, il Pd potrebbe iniziare con un candidato di bandiera e non con la scheda bianca. Il Professore sembra aver capito che la sua strada è in salita: «Si può servire in proprio Paese in modo soddisfacente e utile anche al di fuori dai ruoli istituzionali».

La partita però è aperta.

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