Roma - Eran trecento (e venti), eran giovani (ma comunque over 40 ) e forti (insomma) e sono morti. O quasi. L'8 agosto 2014 passerà alla storia come il secondo più nefasto giorno per il Senato di Roma dopo quello in cui, ventuno secoli fa meno qualcosa, il «premier» Caligola per manifestare il suo disprezzo nei confronti dell'assemblea decise di nominare senatore niente di meno che il suo cavallo Incitatus. Ok, ok: qualcuno dirà che si sono visti parlamentari anche meno attrezzati. La battuta ci sta.
È il giorno in cui i senatori si suicidano, o meglio iniziano le pratiche per farlo. Prima dell'estrema unzione e delle corone di fiori servirà ancora almeno un'altra lettura da parte di Palazzo Madama ma probabilmente due, più un paio di atti di fratricidio da parte di Montecitorio e poi forse, come da promessa di Renzi e comunque se verrà richiesto nelle forme previste, un referendum. Per essere un insano gesto è certamente il più lungo che si ricordi, ma per certe cose non c'è fretta.
Fuori c'è il solleone, ci sono i sampietrini che friggono, c'è una città che si svuota. Dentro nella riserva indiana di Palazzo Madama ci sono gli ultimi veri senatori stanchi, febbrili, in odor di storia anche se qualcuno proprio quella faccia da manuale scolastico non ce l'ha e non è mica colpa sua. C'è la bella Maria Elena Boschi, la madre della riforma, che, in giacca blu e top crema, bacia chiunque gli passi a tiro, anche chi ha votato no o si è astenuto (che poi da queste parti è la stessa cosa) ma un bacio della Boschi, che volete, si prende e si porta a casa, hai visto quando mai ricapita. C'è il presidente Pietro Grasso che ha fretta di chiudere l'aula e dar inizio alle vacanze estive e si affretta a mandare tutti in ferie mentre è ancora in corso l'applauso dopo l'esito del voto. Ci sono i pierini del Movimento 5 Stelle, che dopo la dichiarazione di voto del capogruppo Vito Petrocelli se ne vanno dall'aula in fila indiana in segno di dissenso eppure in qualche modo anticipando la volontà della Boschi, qualcuno facendo con le dita la «V» di vittoria (oppure di: vacanza?). Poi si riuniscono in un'auletta di Palazzo Madama per una riunione che Giuseppe Brescia documenta con una foto su Twitter e stanno tutti là chinati sullo smartphone a farsi i fatti i loro (ma che riunione è?). C'è un Roberto Calderoli in gran forma, correlatore astenuto del ddl (il resto del suo partito, la Lega, invece se ne va) che sfotte Grasso e i suoi salti procedurali parlando di «canguro con il jet nel sedere». C'è Vannino Chiti, leader dei dissidenti del Pd, che porta al suo capogruppo Luigi Zanda un foglietto spiegazzato e si legge benissimo la parola «Vergogna».
C'è tutto questo nel giorno in cui inizia a morire il Senato dei trecento-e-passa e inizia a nascere quello dei cento. Ma poi si va in giro cercando gli emblemi di un giorno a suo modo storico e si trova davvero poco. Tutto è stato in qualche modo già scritto. Le energie sono state spese tutte nei giorni precedenti, facendo le ore piccole appresso ai 7.413 emendamenti presentati, dei quali 30 ammessi, 2.300 respinti e 5.083 «cangurati» (zoologismo di cui non si sentiva la necessità), ovvero bypassati senza voto perché doppioni.
Il tutto nel corso di 24 sedute di aula, di 45 sedute di commissione snocciolate in quattro mesi. Passa Walter Tocci, vecchia volpe del Pd in quota dissidenti. «Se queste riforme le avesse fatte Berlusconi noi saremmo già in piazza», dice. Invece le ha fatte Renzi e si va tutti al mare. Olè.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.