Banca Etruria, una storia fatta d'oro tra massoni aretini e salotti dc romani

Strattonata a più riprese dal potere massonico aretino e dai salotti romani vicini alla Dc, Banca Etruria è la prima (e finora l'unica) banca quotata italiana che è stata commissariata da Bankitalia. Mai la Vigilanza era stata costretta ad arrivare a tanto come con la «banca degli orafi», neppure allo scoppiare del dissesto Monte Paschi lasciato dalla vecchia gestione Mussari o verso l'ex Popolare Italiana di Gianpiero Fiorani, poi salvata dal Banco Popolare.

Etruria, di cui fino a mercoledì era vicepresidente il papà del ministro Maria Elena Boschi, affonda le radici nel distretto della gioielleria aretina ed è tra i pochissimi istituti italiani ad operare con i lingotti aurei che tiene ben allineati nei propri caveau. Sia chiaro Etruria, complice la recessione, si è progressivamente soffocata con le proprie mani: i crediti deteriorati arrivano a 3 miliardi, pari a sei volte il patrimonio netto registrato a fine settembre, cioè prestiti che famiglie e imprese clienti non sono più in grado di restituire.

La cooperativa della città di Amintore Fanfani, che nella Toscana del Pd non ha da tempo lo stesso peso politico di Siena e della sua Rocca Salimbeni, avrebbe tuttavia oltrepassato la soglia di non ritorno già durante l'ispezione voluta dalla Vigilanza nella primavera 2013. Complici conti aggravati dal collasso dell'imprenditoria locale e dalla recessione, i rapporti tra l'allora presidente Giuseppe Fornasari, spalleggiato dal direttore generale Luca Bronchi, e gli uomini di Via Nazionale diventano infatti sempre più tesi, fino a sfociare nell'aperta incomprensione. Alla fine Palazzo Koch ha aumentato, senza successo, il pressing perché Etruria trovasse un cavaliere bianco: si dice che lo stesso Fabrizio Saccomanni, prima di lasciare la Vigilanza, si fosse lamentato con i vertici di Etruria, sulla cui testa sarebbe poi caduta anche un'indagine per falso in bilancio. Un anno dopo, la definitiva capitolazione del commissariamento. Insomma la città dell'oro ha pagato, un po' come Re Mida, anche la propria hybris o perlomeno un orgoglio indomabile come quello che si respira nel palio cittadino. Così come era forte il nerbo dello storico presidente Elio Faralli: banchiere simbolo di un mondo considerato vicino alla massoneria, è stato per trent'anni il padre-padrone di Popolare Etruria, pilota della sua espansione in Umbria e Lazio e «garante» degli interessi comunali nei palazzi romani. La stessa loggia ufficiale cittadina dista peraltro poche centinaia di metri dalla sede storica dell'istituto mutualistico. Faralli era inoltre decano e «generale in comando» della potente lobby delle banche popolari, quelle che ora il governo di Matteo Renzi vuole spazzare via trasformandole per decreto in società per azioni.

Il regno di Faralli è poi stato spezzato dal «golpe bianco» che nel 2009 porta appunto al vertice Fornasari, uomo vicino alla Dc e sottosegretario all'industria per il governo Andreotti. Con il 2011 finiscono di entrare in consiglio di amministrazione, dove già sedeva l'ex numero uno di Confartigianato Giorgio Guerrini, altri esponenti della finanza cattolica e delle associazioni, insieme agli industriali Giovanni Inghirami e Laura Del Tongo.

La svolta però non riesce e la stessa posizione dell'imprenditrice del mobile si complica; così come pesano ormai troppo i prestiti concessi alle micro-imprese di una città vissuta per decenni attorno alla «sua» banca e ora in stato semi comatoso: Etruria, con i suoi 1.600 dipendenti è il secondo datore di lavoro della provincia dopo la Asl locale. A quel punto c'è un altro ribaltone che lo scorso anno affida le leve di comando Lorenzo Rosi. Gli si affianca come vicepresidente, e componente del comitato esecutivo, il cattolico Pier Luigi Boschi, appunto padre del ministro delle Riforme ed ex dirigente di Coldiretti.

Dopo 133 anni, la mutua è nata nel 1882, il tempo a disposizione di Arezzo è però scaduto. Da più parti si scommette infatti che al massimo entro dicembre la banca dell'oro avrà un nuovo padrone di casa. In passato si erano affacciate al dossier Intesa Sanpaolo e Popolare Vicenza, che si era tuttavia vista rifiutare la proposta d'acquisto da Etruria, forse anche questa volta con un eccesso di zelo .

I commissari per fare cassa potrebbero porre sul piatto la controllata Federico Del Vecchio, cassaforte dei «maggiorenti» fiorentini. Un marchio del lusso, ma pochi sanno che la gran parte delle sue masse appartiene alla capogruppo.

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