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Bangkok, assalto ai palazzi del potere. Lettera al premier: "Firma le dimissioni"

Rabbia e tensione con la polizia, l'esecutivo approva la richiesta di convocare il Parlamento per ridiscutere lo stato d'emergenza

Bangkok, assalto ai palazzi del potere. Lettera al premier: "Firma le dimissioni"

Ancora proteste e tensione a Bangkok. Da otto giorni consecutivi è in atto una rivolta popolare contro il governo del generale Prayut Chan-ocha e contro il re Maha Vajiralongkorn. I manifestanti chiedono lo scioglimento del Parlamento, una nuova Costituzione, lo stop alla persecuzione politica dei dissidenti e la riduzione dei poteri della monarchia.

Per ieri i manifestanti avevano annunciato «una grande sorpresa». Tramite la rete si sono dati appuntamento per le quattro di pomeriggio al Victory Monument. Poi man mano che le persone stavano raggiungendo la piazza, bloccando il traffico, un altro messaggio ha avvertito che l'obiettivo di giornata era quello di marciare fino a raggiungere la sede del governo.

Questa volta i dimostranti si sono preparati per resistere agli agenti antisommossa e agli idranti della polizia, che nei giorni scorsi sono stati utilizzati con potenti getti d'acqua misti a vernice e sostanze irritanti per disperdere la popolazione scesa in strada.

Nelle prime file della rivolta, gli uomini indossavano caschi e occhiali di plastica, decisi ad arrivare al centro del potere della capitale. Le forze dell'ordine hanno tentato di bloccare le decine di migliaia di manifestanti davanti al ministero degli Esteri, sulla Sri Ayutthaya Road, costruendo una barricata con filo spinato e schierando centinaia di uomini. Dopo qualche momento di tensione, il fiume umano antigovernativo è riuscito ad oltrepassare il cordone e ad arrivare vicino alla Governament House, dove è stata consegnata ad un rappresentante della polizia una lettera di dimissioni per il premier. Dopo di che, sempre attraverso internet, hanno diffuso un messaggio in cui davano a Prayut «tre giorni di tempo per firmarla». Poi, intorno alle dieci di sera, hanno iniziato a lasciare il sito della protesta pacificamente.

Anche i sostenitori della monarchia hanno iniziato a scendere in strada. Nel pomeriggio di ieri, vicino all'università di Ramkhamhaeng, si sono registrati scontri tra le opposte fazioni. Decine di difensori del Re hanno affrontato i manifestanti antigovernativi.

Intanto, il primo ministro, ha parlato alla Nazione su tutti i canali televisivi della situazione di emergenza, esortando i manifestanti ad utilizzare la sessione speciale del parlamento che si riunirà la prossima settimana per esprimere il proprio dissenso. «Ognuno deve fare un passo indietro e trovare una soluzione ai problemi», ha detto il generale, al comando del Paese dopo aver guidato il golpe nel 2014. «L'unico modo per una soluzione duratura, sia per coloro che sono in strada in questi giorni e per i milioni che scelgono di non manifestare, è discutere e risolvere queste differenze attraverso il processo parlamentare», ha aggiunto. Prayut, infine, ha dato la sua parola di porre fine allo stato di emergenza in atto nella capitale «se non ci saranno incidenti violenti».

Nella storia recente della Thailandia, spesso, queste situazioni hanno portato a repressione e morti. Nella rivolta studentesca dell'ottobre del 1973 sono rimaste uccise 270 persone. Durante l'oppressione militare del 2010 contro il Fronte unito per la democrazia, le cosiddette «camicie rosse», gli ex seguaci di Thaksin Shinawatra che stanno manifestando in questi giorni insieme agli studenti, le vittime sono state 87, compreso il fotoreporter italiano Fabio Polenghi.

Nel 2013/2014, durante le proteste che poi hanno portato al colpo di stato e alla guida del Paese proprio Prayut, i morti sono stati 28.

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