La mano di poker è partita con un rilancio. Una puntata che i 5 Stelle gettano sul piatto all'unisono con il Pd: si torna al «mai più con Renzi». Ma è solo la prima mossa, quasi obbligata, prima di sedersi ai diversi tavoli di trattativa per cercare di formare un nuovo governo. Dietro alla compatta linea ufficiale si agitano i mille dubbi della folta compagine di parlamentari grillini che sanno di giocarsi la partita della vita.
«Dalla loro -osserva sornione il democristiano Gianfranco Rotondi-hanno la duttilità». Il perenne gioco interno delle correnti in queste ore torna utile. Per fare la faccia dura a Renzi il Movimento manda avanti Alessandro Di Battista e i suoi: «Renzi ha lasciato il governo? Benissimo, non ci entrerà mai più. Senza se e senza ma». Barbara Lezzi rincara mettendo sul piatto addirittura il suo seggio in Senato: «Bisogna avere il coraggio di dire basta ai ricatti di Renzi: se si torna con lui io mi dimetto». Con il passare delle ore diventa questa la linea ufficiale. La sigilla Vito Crimi, Luigi Di Maio e lancia l'appello «ai costruttori europei», coniando un termine alternativo ai «responsabili» più potabile per Mattarella ma anche per la base pentastellata. Dibba gongola: «Finalmente siamo compatti».
Ma dietro la linea ufficiale c'è da fare i conti con le altre pulsioni, quelle più profonde. A partire dall'idea di fondo del Garante: il M5s deve restare al governo a ogni costo per compiere la sua «missione storica» in questa finestra di opportunità limitata che si è aperta. Istruzioni chiare che richiedono innanzitutto di esplorare a fondo la strada Renzi. Lo spazio per ricomporre potrebbe anche esserci se il leader di Rignano non fosse proprio granitico sul Mes, l'unico punto davvero inaccettabile per il Movimento tra quelli messi sul piatto da Italia viva. «In fondo voleva anche abolire il Senato e ritirarsi dalla politica», dice sarcastico un grillino di peso del governo.
Di mezzo c'è però l'incognita Conte. La frattura tra il premier e Renzi pare orma insanabile ed è anche per questo che esploratori «di alto livello» del governo (tra cui ci sarebbe il ministro D'Incà, già pontiere del Conte bis), stanno sondando la carta dei responsabili. Ma non è solo questione di numeri. Il rischio su cui meditano i giallorossi, è di passare dall'inaffidabile Renzi a inoltrarsi in una palude sconosciuta, dove ogni passo va contrattato non con un leader, ma con singoli parlamentari. Prospettiva che spaventa anche il Colle. Ecco perché è iniziata intanto l'opera di compattare i cespugli che già ora ruotano intorno al governo, con l'entrata di cinque ex grillini, che già sostenevano Conte, nel Centro democratico di Bruno Tabacci. Una strada impervia.
Il Movimento per ora si stringe a coorte intorno a Conte. La solita batteria di tweet in fotocopia, l'hashtag #ConTe, una foto sorridente con il premier messa in Rete da Beppe Grillo. Uno schieramento a difesa molto ostentato. Forse anche troppo. Nelle retrovie ci si chiede infatti se davvero non ci sia alternativa a Conte e alla sua voglia di contarsi in Parlamento e nelle urne.
Un ragionamento che traspare da piccole crepe nella linea ufficiale. Come l'aforisma lanciato dal senatore grillino Marco Croatti: «Il bene comune viene prima del singolo». Certo, trovare un'alternativa «all'avvocato de popolo» non è facile.
Ma se il Conte ter resta l'opzione per cui si lavora, tra i Cinque stelle è anche l'occasione per regolare i conti interni con alcuni ministri, specie quelli legati a Di Maio. Sulla graticola in particolare Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro.
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