Qualcuno in Spagna le prove generali di secessione le aveva sperimentate addirittura nel lontano 1990. Non erano catalani e neppure baschi, bensì gli abitanti (250 anime) del barrio Cerro Belmonte di Madrid, che proclamarono l'indipendenza per diventare provincia cubana. Sembra un racconto surreale, uno stralcio della sceneggiatura de Il dittatore dello stato libero di Bananas. Eppure accadde davvero, anche se a distanza di quasi trent'anni l'episodio viene catalogato come evento comico. Il Puigdemont della situazione si chiamava Santiago Gil, un elettricista di 42 anni, e decise di mettersi a capo della rivolta per protestare contro un piano di urbanizzazione che avrebbe portato all'esproprio di terreni a cifre considerate inadeguate. «Rubano ai poveri per dare ai ricchi, ce ne andremo da Fidel», minacciò Gil il 12 agosto del 1990, proclamando un referendum per l'indipendenza.
Alle urne si presentarono in 214 e solo due di loro votarono per rimanere con Madrid. La notizia fece il giro del mondo, e pur non essendo ancora nell'epoca della globalizzazione la storia arrivò piuttosto rapidamente alle orecchie di Fidel Castro. Il leader cubano non solo prese sul serio la stravagante iniziativa degli abitanti di Cerro Belmonte, ma li invitò all'Avana. Una delegazione guidata da Torres, e composta da 25 persone, partì alla volta di Cuba, incontrò Castro e trascorse dieci giorni nell'isola grazie al contributo economico dell'Istituto cubano di Amicizia tra i Popoli. Fu qualcosa in più di una semplice gita premio perchè proprio all'Avana, con il sostegno dell'allora ministro dell'economia Antonio Maurell, venne persino coniata la nuova moneta dell'enclave, il «belmonteño».
Sempre con l'aiuto di Cuba venne redatta una nuova carta costituzionale e disegnata una bandiera (bianca e rossa con una stella rossa al centro del drappo). A quel punto il leader secessionista Santiago Gil chiese di essere ricevuto prima dal segretario generale dell'Onu per il riconoscimento del «Principato di Cerro Belmonte», poi viaggiò a Gibilterra e ad Andorra, per un appoggio con i due piccoli stati sovrani situati in Spagna, e quindi si presentò Moncloa dal primo ministro Felipe González, come vero e accreditato capo di stato. Il premier per tutta risposta invitò gli abitanti di Cerro Belmonte a desistere dai propositi anti-costituzionali, minacciando anche ritorsioni nei confronti di Cuba. L'antesignano di Puigdemont giocò a quel punto la carta dell'occupazione e con un drappello di secessionisti si rifugiò nella chiesa di Santa Cruz chiedendo di vedere González e preannunciando di rapire il malcapitato parroco.
Al suo posto si presentò il sindaco di Madrid Rodriguez Sahagún, che dopo una lunga ed estenuante trattativa riuscì a convincere il barrio rivoluzionario a tornare sotto l'egida castigliana. In cambio i filo-cubani ottennero la cancellazione del progetto di riqualificazione urbana.
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