Il più grande ospedale del Sud Italia dice addio ai vecchi marcatempo e anche ai «timbratori seriali», categoria di truffatori che periodicamente conquista le pagine delle cronache nazionali. Questa mattina, infatti, una squadra di tecnici entrerà al Cardarelli per installare un rilevatore biometrico a ogni ingresso dei 21 padiglioni. Ai più grandi se ne piazzeranno due, per evitare code al momento dell'ingresso dei dipendenti che tra pochi giorni dovranno inserire il tesserino di riconoscimento e le impronte digitali.
A questo punto, gli onesti (la grande maggioranza) tireranno un sospiro di sollievo e i disonesti dovranno cercare altri espedienti per non lavorare. E dopo il via libera del Garante e 30mila euro ben spesi, i cosiddetti furbetti del cartellino saranno un ricordo lontano. Almeno al Cardarelli. Il direttore generale, Ciro Verdoliva - non a caso ingegnere - spiega: «Serviranno due giorni per l'installazione dei rilevatori biometrici, poi inizieremo il rilievo delle impronte di ogni dipendente. Chi non si presenta si assume la responsabilità delle sue azioni: non potrà più entrare in ospedale con le nuove tecnologie». Verdoliva non nasconde che ci sono stati malumori per la sua scelta di garantire trasparenza all'ospedale e ha sostenuto un braccio di ferro con la Cgil che diffondeva tra i dipendenti ospedalieri fuorvianti volantini con la scritta: «Non ci stiamo a far passare gli operatori del Cardarelli anche per disonesti. Non è lecita la rilevazione delle presenze tramite impronte digitali». Questo a dispetto del via libera del Garante che aveva scritto nel documento: «L'obiettivo dell'installazione del sistema non è di accertare la prestazione lavorativa del singolo dipendente, ma di garantire che ogni dipendente registri l'inizio della prestazione lavorativa unicamente per sé stesso e non per altri colleghi». La riservatezza, del resto, è tutelata al 100 per cento: l'impronta non viene conservata ma semplicemente memorizzata sul badge del dipendente. «Questo malumore diffuso mi conforta commenta Verdoliva - vuol dire che stiamo colpendo nel segno di chi ha la coscienza sporca. Le pecore nere in ospedale sono poche e questo sistema le metterà nell'angolo».
Verdoliva conosce il clima dell'ospedale. In passato ha inchiodato una decina di «furbetti del centralino» che timbravano e si «dimenticavano» di rispondere alle chiamate.
Ma una volta allontanate le mele marce, l'ingegnere ha risolto il problema alla radice: «Ho installato il risponditore automatico».
Ma il Cardarelli non è un precursore del lettore biometrico. È arrivata prima la Asl di Caserta.
Dove il direttore generale Mario De Biase ha messo sotto scacco i furbetti di ben 12 distretti sanitari e sette ospedali. «Due anni fa abbiamo acquistato 243 rilevatori biometrici per un totale di 120 mila euro e ora funzionano nell'85% delle strutture. È un lavoro lungo e capillare perché si tratta di oltre 4.600 dipendenti. C'è stata molta resistenza, i sindacati non li volevano.
Ma non è giusto che per colpa di pochi l'immagine di tutta la struttura ne risulti danneggiata». Due storie di rivalsa. Che non sono isolate. L'Ospedale S. Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno ha fatto da apripista anni fa utilizzando le impronte digitali per i 3mila dipendenti. Il direttore generale Nicola Cantone ammette che «il sistema ha debellato il malcostume e i dipendenti che risultano in servizio lo sono effettivamente».
Anche alla Asl di Avellino, dove decine di assenteisti sono finiti sotto processo, sono state introdotte da pochi mesi i rilevatori in alcune delle 89 sedi aziendali. Un cambiamento graduale ma inesorabile. Da esportare anche al Nord.
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