Giunto a 2.386 miliardi di euro, il debito ha registrato un nuovo record; e se questo era il «cambiamento» promesso dal nuovo governo, certo era meglio evitare. A questo punto, però, è necessario che oggi chi rivendica il diritto e il dovere di governare il Paese spieghi a chiare lettere come intende affrontare questa situazione drammatica. Perché in questa situazione non soltanto dobbiamo costantemente subire un prelievo fiscale esorbitante che in buona parte serve a pagare gli interessi dei titoli di Stato, ma siamo anche costantemente esposti a rischi terribili.
Finora i governi italiani si sono mossi come giocatori di poker spregiudicati. Hanno ripetuto innumerevoli volte che «l'Italia non è la Grecia», intendendo dire che siamo troppo grossi per poter essere lasciati fallire (too big to fail). Non è detto, però, che il bluff possa funzionare in eterno. Per i nostri partner europei, e soprattutto per quelli che hanno i conti messi meglio, è un problema di costi e benefici. E a un certo punto essi potrebbero stufarsi di dover tenere tassi artificiosamente bassi per evitare che l'Italia finisca nel baratro.
In ogni caso, è fondamentale tornare a essere liberi (altro che parlare a vuoto di sovranismo), ma non lo saremo mai se continueremo a dipendere dalle decisioni di Francoforte.
È allora urgente sapere come Matteo Salvini pensa di ridurre il debito, dove intende tagliare e cosa intende dismettere. Si tratta di capire se vuole continuare a difendere politiche perequative che finanziano l'assistenzialismo al Sud, se non ha smesso di credere nello Stato imprenditore e nel ruolo della Cdp, se seguita a inseguire logiche protezionistiche.
Se c'è una società che convive con politiche populiste e assistenziali è l'Argentina: settant'anni fa vantava un reddito pro capite doppio di quello italiano, ora passa di disastro in disastro. Da quella vicenda, però, dovremmo apprendere qualcosa: per non ripetere gli stessi errori.
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