Coronavirus

"Basta con la guerra tra generazioni, servono i ragazzi per salvare i nonni"

Lo psichiatra: "I figli non stanno attenti perché si sentono immortali"

"Basta con la guerra tra generazioni, servono i ragazzi per salvare i nonni"

Esterno giorno, a poche ore dalla firma del decreto che mette in quarantena il Nord. In un affollato parco di Milano un gruppo di ragazzi si intreccia in una sfida sudata a pallacanestro. Pochi giorni prima, a due passi dalla zona rossa del Lodigiano, una piccola folla improvvisata una festa stile «rave». Dopo anni di maledizioni contro lo smartphone che ha rapito i figli adolescenti, tanti genitori ora scoprono che in fondo una socialità «dal vivo» i ragazzi ancora ce l'hanno. E non ci vogliono rinunciare per un coronavirus qualunque. Urgono consigli da esperto. E Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta tra i più noti d'Italia, è un'autorità nel campo della psicologia adolescenziale.

Professore, ma perché i ragazzi non hanno paura?

«Sfidare la morte, fare cose pericolose è la loro specialità. Si sentono invulnerabili. E, riguardo al coronavirus, è stato loro ripetuto in ogni modo, sbagliando, che sono immuni. Anzi: che più sono piccoli e indifesi, meno rischiano, mentre il pericolo è solo per gli anziani, per di più malati: il virus si avventa solo su di loro e li fa secchi, gli è stato spiegato».

È una malattia che divide le generazioni?

«In gran parte è colpa di una comunicazione sbagliata, che ha portato acqua alla convinzione che la cosa non li riguarda, per cui loro, che non temono nulla, non possono perdere tempo con tutte queste precauzioni. Bisognerebbe invece arruolarli, come ha saputo fare Greta con la lotta all'ambiente».

Ma non sono proprio discorsi come quello di Greta e il suo «ci state rubando il futuro» ad aver alimentato una guerra tra generazioni?

«Sì, ora sono convinti che i padri e i nonni gli abbiano sottratto le pensioni, le case, il lavoro, il pianeta, il futuro. Ora poi, vedere che anche i potenti adulti vengono colpiti, da Fontana che mette la mascherina a Zingaretti con il virus, si sentono confermati nella loro idea. Ma su questa base paranoica non si va da nessuna parte. Bisogna invece imitare il modello di arruolamento militante dando un messaggio positivo».

La comunicazione sulla malattia è stata sbagliata?

«All'inizio c'è stata una sottovalutazione, anch'io non credevo che sarebbe stata una crisi così grave e mi sono ricreduto. Ha prevalso la retorica delle opposte ideologie politiche che per fortuna poi è stata messa da parte. Ma anche dopo, la comunicazione di chi gestisce questa crisi è stata troppo impregnata della logica medica. Che non tiene in gran conto i nostri sentimenti, le nostre relazioni. Si limita a dire: queste sono le regole, vai in ospedale! E non capisce come mai uno possa trattare male il proprio corpo o rischiare prendendo un treno per tornare a casa. Questo tipo di approccio con gli adolescenti non funziona».

Ma come si può fare a trasmettere il messaggio positivo di cui parlava?

«Evitando appunto di fare l'elenco dei divieti, dei metterli in guardia dai pericoli e riempirli di raccomandazioni sulle precauzioni mediche consigliate. E non funziona nemmeno condannare chi si bacia o si abbraccia dopo che ha fatto gol, come fanno certi calciatori che sono padri di famiglia ma danno il cattivo esempio. Come dicevo bisogna arruolarli».

Concretamente?

«Essere genitori positivi, onesti e trasparenti. E spiegare loro qual è la missione che loro, invulnerabili, devono compiere per salvare il soldato Ryan che in questo caso è il nonno. L'anziano come che ormai ho 82 anni, bersaglio perfetto per il virus, che mi sta dando la caccia. E se mi trova vorrei avere il mio lettino e il mio respiratore. Fargli capire che grazie ai loro comportamenti possono salvarlo dalla malattia e anche dalla nostra sanità malandata».

Ma funziona l'approccio più comune oggi, quello del genitore-amico?

«Anche quello con l'emergenza è destinato a cambiare. Si sta a casa da scuola, le giornate cambiano.

Bisogna far loro capire che c'è bisogno dei figli per vincere la guerra dei nonni».

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