Milano Per Roberto Formigoni l'unica consolazione è che una delle accuse per cui viene condannato è ormai praticamente prescritta, e i sette anni e mezzo di carcere che la Corte d'appello gli infligge ieri - inasprendo sensibilmente la condanna decisa in primo grado - verosimilmente si ridurranno un po' prima che la pena diventi esecutiva. Ma per il resto il processo di secondo grado all'ex presidente della Regione Lombardia, l'uomo che per vent'anni ha regnato sulla regione più ricca d'Italia cambiandone in profondità il volto, si conclude con una batosta. Che rende concreta la prospettiva per il «Celeste» di dover affrontare un periodo non breve di carcere.
Accogliendo in pieno la richiesta della Procura della Repubblica, che aveva impugnato la condanna già inflitta in primo grado ritenendola troppo blanda, i giudici d'appello alzano da sei anni a sette e mezzo la condanna per corruzione all'ex Governatore. Colpisce che il robusto aumento di pena non arriva perché Formigoni sia stato riconosciuto colpevole di reati per cui in appello era stato assolto (come per esempio l'associazione a delinquere). No, le colpe di Formigoni sono le stesse per i giudici d'appello e di tribunale. L'aumento di pena è figlio di una valutazione più severa del personaggio, del modo in cui ha interpretato il suo ruolo istituzionale e dei suoi comportamenti.
Pesa indubbiamente, sul destino di Formigoni, l'assoluzione - arrivata già in primo grado - dei manager della Sanità lombarda che la Procura aveva portato con lui sul banco degli imputati. Per i giudici, a piegare gli interessi della sanità pubblica a quella privata - e in particolare del San Raffaele e della Fondazione Maugeri - non fu la burocrazia regionale ma direttamente ed esclusivamente lui, il politico che della performance degli ospedali lombardi aveva fatto il suo fiore all'occhiello, vantando un sistema le cui prestazioni erano invidiate in tutta Italia.
Peccato che insieme alle prestazioni da record, secondo la Procura e secondo i giudici il sistema garantisse una corsia preferenziale agli affari delle due aziende che, attraverso le strutture di lobby targate Comunione e Liberazione, godevano del contatto diretto con Formigoni.
Appoggio, secondo le sentenze, lautamente ricompensato e retribuito. Anche su questo punto la sentenza di ieri peggiora la posizione di Formigoni. A differenza di quanto stabilito in primo grado, i giudici decidono che la villa in Sardegna e la casa milanese di via Guerrazzi sequestrate a Formigoni sono state comprate direttamente con i soldi delle tangenti.
Per questo la confisca degli immobili resterà definitiva anche quando l'accusa di corruzione per i rimborsi al San Raffaele, l'ospedale fondato da don Luigi Verzè, decadrà per prescrizione. «La nostra totale solidarietà a Roberto Formigoni, della cui innocenza eravamo e siamo ancora convinti», dicono Maurizio Lupi e Alessandro Colucci, deputati di «Noi per l'Italia».LF
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