Battuti i militari, nemici di sempre Il sogno del Sultano più vicino che mai

Era in difficoltà, ma ora nessuno oserà negargli il presidenzialismo

Battuti i militari, nemici di sempre Il sogno del Sultano  più vicino che mai

Grazie al golpe fallito il «sultano» è più forte che mai. «E adesso Recep Tayyip Erdogan ha la strada spianata verso la repubblica presidenziale cambiando la Costituzione», spiega Andrea Marcigliano, analista del centro studi Nodo di Gordio, che conosce bene la Turchia. Nessuno oserà negare i voti in Parlamento ad una svolta forte ed islamica a chi, paradossalmente, si presenta come paladino della libertà contro la dittatura delle baionette. E cambiare la Carta fondamentale per imporre il presidenzialismo «significa soprattutto togliere potere ai militari, che fin dai tempi di Kemal Atatürk sono i garanti della Costituzione».

Non a caso, ieri, Erdogan ha inviato un sms a milioni di turchi invitandoli «scendere in piazza per difendere la nazione, l'onore, la democrazia e la pace». Proprio lui, che aspira al sultanato, userà l'aura di paladino della democrazia pure con le cancellerie occidentali e l'Europa che lo criticano su libertà e guerra ai curdi.

Classe 1954, il presidentissimo è nato a Istanbul, dove ha deciso di atterrare nella notte del golpe per organizzare la riscossa. Secondo l'agenzia Ansa è stato accolto da migliaia di sostenitori che sventolavano bandiere turche ed inneggiavano ad Allah. Erdogan ha fatto il segno delle quattro dita, simbolo della protesta dei Fratelli musulmani, che in Egitto si sono visti deporre un altro presidente islamista, Mohammed Morsi, dai militari. Il sultano ha sempre cercato di cavalcare la Fratellanza, ma essendo turco e non arabo, l'operazione non è mai riuscita fino in fondo. L'Islam, però, lo ha salvato nelle ore cruciali del colpo di Stato. «La piazza anti golpe è stata mobilitata dai muezzin che a Istanbul e Ankara lanciavano appelli alla popolazione con gli altoparlanti delle moschee», sottolinea Marcigliano.

Nel 1998 Erdogan era finito in carcere per incitamento all'odio religioso declamando i versi di una poesia preveggente e decisiva per il suo destino: «Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati... ». Nella notte delle sciabole non ha mai lasciato il Paese volando a lungo sull'aereo presidenziale nello spazio aereo turco, dopo essere scampato ad almeno un bombardamento mirato dei golpisti per eliminarlo, fino a quando non era sicuro di poter atterrare ad Istanbul per la riscossa.

Dopo aver fatto fuori i golpisti, l'ex giocatore di calcio di buon livello ha colto il pretesto per mettere a segno l'epurazione dei giudici, che sognava da tempo. L'accusa alla magistratura è di essere vicina a Fehtullah Gülen, ex amico di Erdogan, oggi acerrimo nemico in esilio negli Stati Uniti. I magistrati e l'ex impero dei media del rivale hanno provato ad insidiare il presidente e la sua famiglia con accuse di corruzione.

Non c'è da stupirsi se il fedelissimo premier Binali Yildirim ha accusato Gülen di aver ordito il golpe, anche se il diretto interessato aveva preso subito le distanze nella notte del colpo di stato. Il risultato è che ieri sono stati arrestati 10 giudici del Consiglio supremo e sarebbero stati epurati oltre duemila magistrati e procuratori in tutto il Paese.

Il tentato golpe è servito pure a far ritrovare l'unità al partito di governo Akp, attorno ad Erdogan, che lo aveva portato ai primi successi elettorali nel lontano 2002. «Si sono ricompattati ed è rientrato anche il dissenso del suo predecessore, Abdullah Gül, fra i primi a schierarsi al fianco del presidente», fa notare l'analista del Nodo di Gordio. Non a caso l'opposizione ha denunciato un «golpe messinscena» per favorire Erdogan, che in ogni caso è costato circa 200 morti in meno di 24 ore.

Le unità d'elite che hanno tentato il colpo di mano militare provenivano dal fronte della guerra interna contro i curdi. Da salvatore della patria Erdogan potrebbe cogliere la palla la balzo per ritentare un accordo con le province ribelli curde.

«E riprendersi i voti della borghesia imprenditoriale emergente, che lo stava abbandonando», spiega l'esperto della Turchia.

Per assurdo il vero successo del sultano, grazie al golpe, come osserva Marcigliano, «è aver decapitato i militari, che non era riuscito a piegare. Anzi, si sono decapitati da soli».

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