La Bce gela Gentiloni: debito troppo alto

E da gennaio l'Eurotower dimezzerà gli acquisti dei titoli sovrani

La Bce gela Gentiloni: debito troppo alto

«Abbiamo stabilizzato il debito e avviato un seppur marginale percorso di abbassamento del debito». Paolo Gentiloni non fa neppure in tempo ad appuntarsi la medaglia al petto, che subito la Bce gliela strappa. «Nei Paesi con elevati livelli di debito pubblico», tra cui l'Italia, «il rapporto fra debito e Pil sta diminuendo, ma con lentezza».

Insomma, così non va. E non potrebbe essere altrimenti. A fronte del 60% indicato dal Patto di stabilità e di crescita, la penisola mostra ancora un imbarazzante 130% malgrado le condizioni estremamente favorevoli - e senza precedenti - di cui ha goduto grazie agli acquisti miliardari di bond sovrani e all'azzeramento dei tassi varati dall'istituto guidato da Mario Draghi. Un doppio salvagente che ha evitato l'esplosione del nostro debito oltre il 157%, secondo le analisi del centro studi Economia Reale. Un livello da commissariamento. Invece, grazie alla Bce, nel 2016 la spesa per interessi italiana è scesa a 66,5 miliardi, 17 miliardi in meno rispetto al 2012. Per dar ulteriore sostanza alla propria insoddisfazione, l'Eurotower ricorda come lo scorso novembre la Commissione europea abbia messo nero su bianco «i progressi insufficienti verso il rispetto della regola del debito» e sul fatto «il debito pubblico dell'Italia rimane una vulnerabilità chiave».

Il focus dell'istituto di Francoforte sui Paesi ancora indietro nell'opera di risanamento non è certo casuale, ora che il quantitative easing è quasi all'ultimo giro di giostra. Da gennaio, gli acquisti verranno dimezzati da 60 a 30 miliardi di euro al mese. Anche se improbabile stante gli attuali livelli d'inflazione, da settembre in poi la Bce potrebbe cominciare a chiudere del tutto i rubinetti. E già all'inizio del 2019 potrebbe essere oggetto di discussione il primo rialzo dei tassi dal paleolitico 2008. Draghi ha più volte ricordato che la durata del bazooka monetario, ancora «open ended», cioè senza una scadenza predeterminata, dipenderà dal ciclo economico e - soprattutto - dall'andamento dei prezzi. Considerando che le ultime stime della banca centrale non prevedono una convergenza verso il 2% almeno fino al 2020, è assai probabile che la exit strategy sarà la più morbida possibile.

Ciò dà insomma all'Italia ancora un po' di respiro per rimettere ordine in casa. Ma non molto. Anche perché con l'avvicinarsi della fine del suo mandato (ottobre 2019), Draghi potrebbe far fatica a sostenere il pressing ancora più asfissiante di chi intende riportare in fretta la politica monetaria sul binario dell'ortodossia.

Le prossime elezioni politiche sono inoltre un altro elemento di rischio: un esito del voto all'insegna dell'incertezza o - peggio - dell'ingovernabilità avrebbe ripercussioni sugli spread e, quindi, sull'indebitamento. Un macigno reso ancor più pesante se l'inflazione non dovesse ripartire.

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