Ancor prima che un'eventuale messa in moto del Mes possa condannare qualche Paese al vassallaggio nei confronti della Troika, a finire commissariata è stata lei, l'inadeguata Christine Lagarde. Lo si capisce bene dall'impianto del nuovo piano di acquisti per l'emergenza pandemica (il cosiddetto «Pepp») da 750 miliardi di euro della Bce, dettagliato per filo e per segno in un documento legale depositato ieri. È scritto da una mano ferma, consapevole del tranello mortale teso dal Covid-19 all'eurozona e della necessità di una strategia no limits, senza calcoli opportunistici. Azzardiamo, ma neanche troppo: la mano è quella di Mario Draghi. La sua intervista rilasciata al Financial Times, impeccabile per tempismo e per quella passata di evidenziatore flou sull'obbligo di «far più debito per evitare la depressione», è più che un indizio del preciso cambio di rotta impartito a un'Eurotower che, non più tardi di due settimane fa, aveva lo stesso atteggiamento pilatesco di Madame nei confronti degli spread.
Proprio l'andamento del differenziale fra Btp e Bund tedeschi, ieri in picchiata a 161 punti, riflette la presa d'atto della rivoluzione quasi copernicana dell'istituto di Francoforte e della presenza di uno scudo capace di impedire surriscaldamenti sui titoli di Stato. Con il Pepp, infatti, è crollato il muro di Berlino: nell'inceneritore è finita la regola, resa finora intoccabile dalla Germania, che impediva di comprare titoli oltre il 33% del debito di ogni Paese. Una mossa senza precedenti, che libera le mani all'Eurotower, anche se sub judice: il rischio è quello di un ricorso presso la Corte di giustizia europea da parte dei custodi del rigore per «finanziamento monetario degli Stati».
I falchi tedeschi, che hanno ancora un caso in sospeso presso la propria Corte costituzionale, hanno ripetutamente portato la Bce in tribunale per l'acquisto di bond, sostenendo che l'istituto è andato oltre i poteri consentiti acquistando oltre 2.600 miliardi di euro di debito dal 2015. I probabili oppositori potrebbero anche far leva sulla sostanziale sospensione della regola della capital key, che stabilisce un limite agli acquisti di bond in proporzione alle quote possedute dai singoli Stati nel capitale della Bce. D'ora in poi, invece, lo shopping sarà modulato, flessibile e con possibili deviazioni dalle regole. Se per esempio l'Italia ne avrà bisogno, verrà privilegiato l'acquisto di Btp piuttosto che di Bund, o di Oat francesi. Il Pepp include inoltre anche le scadenze brevi, fino a 70 giorni, contro il precedente limite di un anno, per dar modo di inserire per la prima volta la carta commerciale fra gli asset acquistabili. In pratica, è tutto coperto fino ai titoli trentennali. Mancano solo i bond Matusalemme, mentre nel carniere finiscono anche le obbligazioni greche. Con la speranza che non si tratti di un'uscita di sicurezza per chi si è riempito di sirtaki-bond e non vede l'ora di liberarsene e incassare, prima che sia troppo tardi, ricche plusvalenze.
Insomma, siamo in presenza di un «whatever it takes 2.0», potenziato rispetto a quello lanciato di Super Mario. Ma proprio la potenza di fuoco dispiegata, circa 1.000 miliardi, e l'amplissimo perimetro d'intervento sollevano due interrogativi.
Il primo: ha ancora senso lo scontro sul fondo salva-Stati, con o senza le condizionalità previste, visto che la Bce intende operare quasi come prestatore di ultima istanza e al suo raggio d'azione manca solo l'acquisto diretto, sul mercato primario, di bond pubblici? E ancora: perché all'interno dell'Eurotower c'è ancora chi, come il capo della banca centrale lituana, Vitas Vasiliauskas, spinge per l'uso del programma di emergenza Omt, che offre alla Bce la possibilità di fare acquisti illimitati del debito di un determinato Paese, ma a patto che sia stato attivato il Mes?
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