Stavolta non si sono tirate indietro, come ai tempi di Mario Draghi, quando in modo quasi snobistico disertavano le aste di rifinanziamento. Di fronte alle lacerazioni profonde del tessuto produttivo provocate dalla pandemia, le banche europee hanno ieri attinto a piene mani alla liquidità uscita dai rubinetti della Bce. Un'adesione di massa, con 742 istituti che si sono portati a casa fette più o meno consistenti dei 1.310 miliardi di euro, un importo record, dell'ultima tranche di prestiti Tltro. Le nostre imprese avranno più che mai bisogno di questi quattrini, quasi regalati e con una sola condizionalità: vanno usati per sostenere l'economia reale.
La ricostruzione sulle macerie lasciate dal Covid-19 non può prescindere dall'impiego di queste risorse. Anche per cancellare le accuse rivolte da parte della politica italiane alle banche di «non fare il proprio mestiere», e vista la contrapposizione fra governo e Confindustria su come spalmare le misure per il rilancio. L'Italia non può permettersi ritardi. Lo fa ben capire il Bollettino di giugno dell'Eurotower, nel descrivere il nostro come il Paese che più di tutti ha sofferto l'impatto distruttivo del coronavirus soprattutto nella sua spina dorsale fatta di piccole e medie imprese. Lì dove la diminuzione del fatturato è stata «più brusca» che altrove, persino più marcata che in Grecia, Slovacchia e Spagna. Una contrazione quindi ben superiore a quel -2% della media che riflette la prima battuta d'arresto dall'inizio del 2014.
L'industria è il settore dell'eurozona più esposto, con un peggioramento marcato degli utili (dal precedente -7% a -20%). Anche in questo caso, sottolinea la Bce, questo deterioramento riguarda «soprattutto l'Italia». Non che il commercio, colpito al cuore dalla serrata collettiva che ha mandato in picchiata i consumi, se la passi meglio: se mediamente il 19% delle pmi europee ha accusato un calo dei profitti, le nostre imprese hanno dovuto fare i conti con un crollo del 37%.
L'urgenza di interventi di sostegno è data dalla situazione complessiva in cui versa Eurolandia, allo scopo di evitare che una profonda recessione di trasformi in una depressione. Il primo trimestre, con il Pil sceso del 3,8%, è stato solo un assaggio di ciò che potrebbe accadere da qui a fine dicembre. La Bce, con la revisione di ben nove punti delle stime sul 2020, mette in conto una flessione del Pil pari all'8,7% cui farebbe seguito una crescita del 5,2% l'anno seguente e del 3,3% nel 2022. Ma c'è anche uno scenario pessimistico, da non escludere se gli artigli mortali del coronavirus torneranno a farsi sentire in autunno costringendo i governi ad adottare un nuovo lockdown. In quel caso, sarebbe una discesa agli inferi che porterebbe il prodotto lordo a schiantarsi del 12,6%, con un recupero lento nel biennio 2021 (+3,3%), 2022 (+3,8%).
Sono numeri che giustificano le misure messe in campo finora dall'istituto di Francoforte.
Nel Bollettino si ribadisce «il massimo impegno a intraprendere ogni azione necessaria nell'ambito del proprio mandato per sostenere tutti i cittadini dell'area dell'euro nell'attuale fase di estrema difficoltà».Parole che lasciano aperta la porta alla possibilità di irrobustire ulteriormente il piano d'acquisti per l'emergenza pandemica (Pepp), già incrementato di 600 miliardi all'inizio di giugno.
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