«Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro». Una lettera, quando la politica aveva rinunciato e l'ultimatum delle Br era scattato. Implorante: «Vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni». Incisa a mano e limata quattro volte fino all'alba, quando ormai sfinito, dettò la minuta al suo inseparabile segretario, Pasquale Macchi, che lo pregava inutilmente di riposare. Era l'impossibile ricerca di un equilibrio tra l'obbligo del capo di Stato di non ingerire con la linea della fermezza e la sua coscienza appassionata. «Il Papa ha fatto pochino, forse ne avrà scrupolo» scrisse Moro dalla sua prigionìa. Paolo VI morì pochi mesi dopo, il 6 agosto 1978.
Era stato eletto Papa nel 1963. Uomo di tensioni tragiche, entrato nella storia alla fine dell'Ottocento. Nato a Concesio, Brescia, nel 1897, fu protagonista del Concilio Vaticano II: lo aveva ereditato da Giovanni XXIII e dopo di lui aveva guidato la Chiesa nella modernità. «Il grande timoniere» lo ha definito Benedetto XVI. Amato da Papa Francesco, che l'ha voluto beato alla fine del Sinodo della famiglia, in sintonia con l' Evangelii Nuntiandi e il suo impeto missionario. E poi il triregno, il prezioso copricapo dei Papi, venduto per donare il ricavato ai poveri. Il diavolo, presente nei discorsi di Francesco e in quelli di Montini. «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa» denunciò nel 1972 quell'intellettuale amico degli intellettuali. Soprattutto la passione di aprirsi alla società, prima in segreteria di Stato, dove lavorò con Pio XI e con Pio XII (1937- 1954), poi vescovo di Milano (1954- 1963) e Pontefice. Lo definirono «il Papa dei lavoratori». Inseguiva gli scrittori e gli artisti, che avevano smesso di scrivere e dipingere Sacre Famiglie, chiedeva loro di tornare a misurarsi con Dio. Viaggiava per il mondo, arrivava pellegrino in Terra Santa.
Fuori regnante, dentro in croce. Incedeva sotto gli occhi della folla sulla sedia gestatoria, vestito secondo tradizione come un imperatore, e nel segreto, sulla carne indossava uno strumento di penitenza. «Portava il grande cilicio, in ferro, soprattutto durante le manifestazioni imponenti e, secondo la spiritualità del tempo, offriva le sofferenze per la Chiesa, di cui era follemente innamorato. Le suore che lo curavano spesso si vedevano restituire magliette che lui aveva lavato, cercando di togliere, senza riuscire del tutto, gli aloni di sangue» racconta monsignor Ennio Apeciti, postulatore milanese della causa di beatificazione. All'apertura della Porta Santa, nel 1975, vennero giù calcinacci e una smorfia di dolore gli contrasse il volto, perché il cilicio era penetrato più a fondo a causa del movimento brusco e imprevisto.
Vedeva il mondo correre lontano da Cristo e dal Vangelo, già in anni in cui la Chiesa si sentiva ancora trionfante e pochi si rendevano conto della virata che arrivava da lontano e stava per travolgerla: il secolarismo, il divorzio, l'aborto, le chiese vuote, i sacerdoti in fuga dai seminari. A Milano, da arcivescovo - a raccontare è sempre Apeciti - si alzò dalla scrivania e si buttò in ginocchio piangendo, quando uno dei suoi preti gli disse che voleva lasciare la tonaca. «Pensi alla Chiesa» lo implorò. Il sacerdote racconta che sentì qualcosa dentro, cadde anche lui in ginocchio e rimase sacerdote. Era misericordioso con gli spretati, come li chiamavano con espressione di vago disprezzo. Ogni Natale e ogni Pasqua, nel pomeriggio usciva e andava a trovare gli ex preti, quelli che avevano lasciato. Non era, non lo è ancora, un gesto scontato.
«Paolo Mesto» presero a chiamarlo quando non riuscì più a contenere la piena e rimase sommerso dalle critiche per la fortezza nell'andare controcorrente. Come con l' Humanae Vitae , l'enciclica in cui nel pieno della rivoluzione sessuale, era il 1968, scrisse che l'apertura alla vita era parte fondamentale dell'amore tra gli sposi e no, gli anticoncezionali non rispondevano al progetto di Dio sull'uomo e sulla donna. Oggi, a farlo beato, è il miracolo di un bimbo inspiegabilmente guarito nella pancia della mamma che aveva rifiutato di abortire.
Cercò di timonare la cristianità anche attraverso la politica. «Una delle più alte forme di carità» la definì, con espressione diventata storica. Moro era uno dei suoi «fucini», ma allevò tanti altri cattolici e all'eremo di Camaldoli contribuì a stendere il manifesto da cui sarebbe nata la Democrazia cristiana. Crebbe con loro, che si chiamavano Alcide De Gasperi (già amico del padre), Guido Gonella, Giuseppe Spataro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti. Quarant'anni di lettere e biglietti testimoniano il rapporto familiare tra Paolo VI e Andreotti, che però dimostrò la sua autonomia con uno strappo: firmando, senza dimettersi, la legge sull'aborto che, con il divorzio, tanto fecero soffrire il Papa.
Non di sola Italia visse Montini. La sua fiducia nel Patto atlantico e i rapporti con gli Stati Uniti furono stretti. Ma sapeva mettersi di traverso, pur con quei suoi modi da diplomatico fine che aveva lungamente maturato in Segreteria di Stato. «Aveva una visione altissima della politica - racconta Apeciti - Lo testimonia il suo impegno contro la guerra del Vietnam. E poi con Franco: tentò di telefonargli due volte supplicandolo di non uccidere i terroristi condannati a morte. Lui non gli rispose neanche al telefono. Il giorno dopo Montini disse: Ho chiesto la grazia, me l'hanno rifiutata».
Battista aveva respirato la passione civile da bambino, dal papà giornalista e politico, Giorgio, che fu tra i fondatori del Partito popolare e antifascista fino all'Aventino. La mamma Giuditta gli aveva fatto bere la fede di popolo della Lombardia cattolica. Fu Paolo VI a introdurre la Via Crucis pubblica che è la processione di ogni Venerdì santo al Colosseo.
Amava lo scapolare della Madonna del Carmine e invitava i fedeli a portare quel segno di pietà mariana. Devoto e coltissimo. Uomo della politica e delle penitenze. Lavoratore instancabile e di spiritualità profonda. Tragico e beato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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