Una sentenza storica in un momento difficile per il Libano martoriato. Oggi all'Aja ci sarà il verdetto del tribunale internazionale per l'assassinio dell'ex primo ministro libanese Rafik Hariri. Ma la tensione è palpabile nel Paese dei cedri. Sono soltanto passate due settimane dalla tragedia del porto di Beirut. La società libanese sta cercando di riprendersi da questo disastro, e i casi di coronavirus stanno esplodendo in un Paese già piegato da una forte crisi economica e politica, con grandi manifestazioni contro tutta la classe politica. A causa del dramma dell'esplosione, la sentenza è stata posticipata. Era infatti inizialmente prevista per il 7 agosto.
L'assassinio di Hariri avvenuto il 14 febbraio 2005 è una ferita profonda nel popolo libanese. L'attentato è stato portato a termine con un camion bomba vicino all'Hotel Saint-Georges al centro di Beirut, che ha fatto saltare il convoglio blindato del premier. Quindici anni e mezzo dopo, suo figlio Bahaa Hariri, ha affermato: «Vogliamo sapere la verità sull'assassinio», ma il popolo libanese deve rimanere «calmo» e ad astenersi da «reazioni di rabbia non necessarie». L'indagine all'inizio era stata diretta contro il regime siriano e i suoi uomini all'interno dell'apparato statale libanese. La Siria ha negato però ogni coinvolgimento e ha denunciato una politicizzazione delle indagini, mentre Hezbollah ha incolpato Israele. Ma dopo l'assassinio ci sono state massicce proteste nel centro di Beirut e gli ultimi soldati siriani che occupavano il Paese sono stati costretti ad abbandonarlo nell'aprile del 2005.
Dopo l'assassinio di Rafik Hariri, seguono una serie di attacchi mirati contro i nemici del regime di Damasco. Samir Kassir, Georges Haoui, Gebran Tuéni. Sono tutti assassinati. Poi però il cappio ha cominciato a stringersi nel maggio 2009. Il settimanale tedesco Der Spiegel ha affermato che la commissione d'inchiesta si stava muovendo verso un binario che porta a Hezbollah. L'accusa si concentra su una rete di telefoni cellulari che ha seguito Hariri nei mesi prima del suo assassinio. Il tribunale ha poi processato quattro membri della milizia sciita: Salim Jamil Ayyash, Hassan Habib Merhi, Assad Hassan Sara e Hussein Hassan Oneissi, accusati di essere responsabili dell'attacco terroristico che ha ucciso Hariri e altre 21 persone.
Il 10 settembre 2018 iniziano le udienze finali del processo. È presente per l'occasione, Saad Hariri. Chiede «che sia fatta giustizia», respingendo, ancora una volta, ogni «spirito di vendetta». Lo scorso 14 agosto, invece, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha affermato in un discorso televisivo: «Se i nostri fratelli vengono condannati ingiustamente, come ci aspettiamo, rimarremo attaccati alla loro innocenza».
Il verdetto del processo potrebbe ulteriormente esacerbare le divisioni che esistono nel Paese dalla guerra civile. L'attentato è stato una pietra miliare nella storia del Libano, ma è una vecchia ferita che fa ancora male.
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