Benno crolla: "Li ho uccisi io. E li ho buttati giù dal ponte"

Confessione dopo due mesi. Si cerca il corpo del padre. La scusa: "Colpa degli anabolizzanti presi in palestra"

Benno crolla: "Li ho uccisi io. E li ho buttati giù dal ponte"

E adesso si continua a dragare l'Adige sapendo che è solo questione di tempo. Perché da qualche parte tra le anse del grande fiume, negli ottanta chilometri tra il ponte di Vadena e la diga di Mori, c'è anche il corpo di Peter Neumair. Lo diceva il rassegnato buon senso degli inquirenti, da più di un mese, quando era stato ripescato dai sommozzatori il corpo di sua moglie Laura. Il giorno dopo, nel breve, drammatico faccia a faccia con i pm, lo ha detto anche Benno: «Li ho buttati tutti e due giù dal ponte». Tutti e due: sua madre Laura e suo padre Peter, il primo a venire ammazzato nella bella casa di via Castel Roncolo a Bolzano, al termine dell'ultimo litigio. La mamma è fuori, per commissioni. Quando rientra, il corpo di suo marito è ancora lì, nella villa. Il destino di Laura è segnato. Benno la strangola, poi carica i due corpi sulla Volvo. E via, verso Ora, a trovare la sua ragazza Martina. Una sola tappa, sul ponte da cui da sempre si buttano i suicidi, a scaraventare nelle acque grigioverdi due corpi e ventisei anni di rabbie.

Il giallo di Bolzano è risolto. Lo era già in realtà da un mese, quando davanti ai pm che gli rivelavano di avere trovato sua madre, Benno aveva finalmente accettato di rispondere e smesso di fingere dolore. E si era liberato del peso che si portava dentro da due mesi, dalla notte dell'orrore sul ponte di Vadena. Quella confessione è rimasta segreta per un mese. E lo stesso è accaduto per il secondo interrogatorio, il 1° marzo, il lungo verbale in cui Benno racconta per filo e per segno la sua verità.

Mentre giornalisti e talk show si interrogavano ancora sul giallo di Bolzano, in realtà il caso era già chiuso. La verità diventa pubblica ieri, per un adempimento un po' istruttorio e un po' burocratico. Benno dice di essere pazzo, questa è la sua linea per schivare l'ergastolo che gli pende sulla testa. Per decidere se lo sia davvero, serve una perizia. Ieri la convocazione arriva anche alla sorella Madè, che nell'inchiesta è parte civile contro questo fratello di cui ha paura da sempre, («Se lo liberano rischio di essere uccisa anch'io», disse dopo l'arresto). Da quell'avviso Madè scopre che Benno ha confessato. «Non sono stupita», dice. E non la stupisce neanche la strada che il fratello imbocca per difendersi, dare la colpa di tutto al proprio equilibrio malfermo, agli anni di anabolizzanti in palestra e di stordimenti chimici vari.

È andato tutto come il procuratore Giancarlo Bramante e i suoi pm avevano capito ormai da tempo. La striscia di sangue sul ponte di Vadena, lasciata dal corpo di Peter prima di volare nei gorghi, è il dettaglio che dà la svolta all'indagine: perché è con quella traccia che l'alibi un po' confuso di Benno deve fare i conti, è in quel momento che diventa cruciale il buco di mezz'ora nella strada che l'uomo fa per arrivare, nel cuore della notte, a casa della ragazza. Nel drammatico, rapido interrogatorio del 10 febbraio, Benno Neumair deve arrendersi.

E però c'è una trincea da cui non si smuove, un punto cruciale su cui non accetta la ricostruzione dei carabinieri.

Quanto tempo passa tra i due delitti? Quanto Benno resta da solo, in casa, con il padre senza vita? Per gli inquirenti prima che la madre rientri passano quasi due ore, lui dice poche decine di minuti: il tempo di rendermi conto di quel che avevo fatto, ed è arrivata anche lei, dice. È il modo per raccontare i due delitti come un solo delitto, indicare il movente in un unico raptus. Altrimenti all'ergastolo non c'è scampo.

Certo, a meno che non riesca a farsi dichiarare matto.

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