Da Bergamo a Lipsia per curarsi dal virus. Steven non ce l'ha fatta: è morto a 31 anni

L'ingegnere era ricoverato in Germania. La sorella: "Il mio angelo custode"

Da Bergamo a Lipsia per curarsi dal virus. Steven non ce l'ha fatta: è morto a 31 anni

Nel post del Comune di Cusio (Bergamo) c'è un lutto di un intero paese, 250 anime ma un solo cuore. Che batte per lui: Steven Rovelli, 31 anni. L'amico, il figlio, il nipote che tutti avrebbero desiderato. Perché Steven era sempre sorridente e disponibile. Il coronavirus se l'è portato via. Lontano dalla sua terra. Era in Germania, trasferito lì con un volo straordinario nell'estremo tentativo di salvargli la vita.

«È un giorno triste per la nostra Comunità - si legge nel messaggio d'addio sul sito municipale -. Quando un piccolo paese come il nostro perde un giovane di 31 anni, un amico, innamorato del suo paese e delle sue montagne, con una vita davanti, un sorriso sempre pronto, e tante speranze per il futuro, non ci sono parole per esprimere il dolore e lo sconforto. Stiamo vicini ai genitori Daniela e Ivo, alla sorella Gloria, ai nonni Carla, Vincenzo, alla fidanzata Francesca e a tutta la famiglia. Ciao Steven».

«Se n'è andato il giorno del mio compleanno. Oggi mi è stato donato un angelo custode. È quello che riesco a cogliere da questa coincidenza, da questa tragedia», dice commossa la sorella Gloria, 27 anni. Steven è morto la mattinata di sabato, all'ospedale di Lipsia, dove era ricoverato dal 25 marzo.

Per tutta la gente della Valle Averara, un dolore indescrivibile. Il ricordo degli amici: «Steave era un ragazzo d'oro, allegro, con la passione per i viaggi, impegnato nello studio e nel lavoro. Tifosissimo dell'Atalanta. Trial e sci erano i suoi sport preferiti».

Amava la natura Steven e gli piaceva perdersi nella quiete selvaggia della sua vallata, lì dove le abetaie si alternano agli alberi di noce. Legni robusti e nobili, ideali per i pulpiti e confessionali destinati alle chiese della zona: luoghi sacri che anche Steven frequentava, forte di una fede che non lo ha mai abbandonato. Fino all'ultimo dei suoi giorni.

Ingegnere informatico, Steven lavorava per la WebResults di Treviolo. Scoppiata l'epidemia, a fine febbraio era subito rimasto a casa, potendo lavorare da remoto.

Verso metà marzo il manifestarsi della malattia. Il primo stadio del contagio era stato affrontato in casa, con l'ossigeno. Dopo l'aggravarsi della situazione, era stato portato all'ospedale «Papa Giovanni» di Bergamo e infine ricoverato in una clinica di Lipsia.

Anche Steven è morto con la tragica ritualità di un virus che non lascia spazio alla pietà, i suoi acri non hanno potuto abbracciarlo e baciarlo per l'ultima volta. Un addio a distanza, tra lacrime e dolore interiore. E ora quelle sue foto sono graffi nell'anima. Il ricordo rimarrà sempre vivo. Ma è dura rassegnarsi all'idea di non vedere più il volto sereno di Steven.

Cusio, il suo paese, significa «chiuso» ma qui la notizia della morte di Steven ha spalancato le porte della solidarietà.

Non un sentimento formale o di maniera, ma una partecipazione sentita al dramma di una famiglia che ora si pone domande senza trovare risposte. Se non quella che si trova - o almeno si cerca - congiungendo le mani. E levando una preghiera al Signore. Al cui fianco da oggi c'è un giovane in più. Il suo nome è Steven.

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