Milano - C’è aria di vittoria per Forza Italia e il Teatro Manzoni fa il tutto esaurito per Silvio Berlusconi anche in una domenica mattina gelida, sala stracolma con gente in piedi e centinaia di persone fuori a seguire sul maxischermo nella hall («Non è colpa mia, sono loro che sono venuti in troppi» scherza un Cavaliere in formissima, che tiene banco per oltre due ore di intervento-fiume). Il leader carica gli azzurri per il rush finale della campagna elettorale («Ho dimenticato a casa lo spadone, ma vi nomino lo stesso missionari di democrazia e libertà»), gli ultimi sondaggi che ha commissionato dicono che il centrodestra è già oltre la soglia del 40% «ma non ci basta, c’è una differenza tra avere una maggioranza risicata in Parlamento e una maggioranza forte».
A ritmo di due interviste tv al giorno Berlusconi corre come un Frecciarossa e negli ultimi giorni non intende risparmiarsi («Questa settimana dormirò molto poco, contatterò tutti quelli che conosco, manderò regali») per smuovere gli ultimi indecisi. L’obiettivo è portare Forza Italia al 25%, e ottenere una maggioranza solida per governare con un esecutivo fatto anche da «uomini del fare», anche se non nasconde le difficoltà a coinvolgere gli imprenditori, già contattati senza successo: «Sono venuti da me a cena, gli ho offerto il mio menù tricolore che è sempre in voga, poi però tornati a casa parlano con le loro famiglie e il giorno dopo mi dicono che non se la sentono, temono di subire quello che ho subito io entrando in politica». Però dei nomi spendibili come ministri per il dopo 4 marzo assicura di averli, «protagonisti della vita vera, uomini dell’impresa, della managerialità, delle professioni, della cultura» (ma esclude i professori universitari, «non capiscono l’economia, come Monti»), perché solo così «le cose potranno prendere una direzione diversa». Però i nomi non si possono anticipare, perché finirebbero «nel tritacarne». L’identikit del premier che ha in mente però è chiaro, anche se il nome non lo fa: Antonio Tajani, impegni in Europa permettendo.
Il Cavaliere snoda l’intervento tra aneddoti (la mamma che nel ’94 non voleva che scendesse in campo ma poi lo spronò a farlo; le dacie sul Mar Nero degli ex gerarchi sovietici comprate dai milionari francesi scappati dalle troppe tasse; il primo Consiglio dei ministri in cui gli fecero capire che se avesse riformato la giustizia contro la volontà dei magistrati sarebbe caduto il governo; l’undicesimo nipotino in arrivo), storia degli ultimi anni («Veniamo da cinque colpi di Stato che hanno massacrato la democrazia, più l’eliminazione di Berlusconi attraverso una condanna impossibile, sciagurata, e l’applicazione retroattiva della legge Severino»), la polemica con la magistratura che da ordine dello Stato si è trasformata in un «potere dello Stato» («Terribile, ci sono stati 20mila innocenti in carcere negli ultimi 20 anni, mille all’anno»), l’attacco al M5s «una setta comandata da un pluricondannato, dove l’87% dei parlamentari «non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi, e quindi o hanno evaso o più probabilmente mai lavorato». E poi i punti del programma di governo. Un referendum per l’elezione diretta del capo dello Stato. Ma in cima c’è sempre la questione fiscale. La flat tax, che è stata il segreto del boom economico di Hong Kong, e poi il «messaggio alle folle» come lo definisce Berlusconi: «Noi non aumenteremo l’Iva né nel 2018 né nel 2019». E quindi lo Young Act, un decreto legge «con cui diamo alle imprese completa defiscalizzazione e decontribuzioni per i primi tre anni se assumono giovani disoccupati».
Berlusconi si scalda quando tocca l’argomento mafia, su cui è stato attaccato dal M5s e dal Fatto di Travaglio, definito «il Falso quotidiano, l’organo dei Cinque Stelle». «Io mafioso? Un’accusa di questo genere è un’infamia. Io sono al contrario una vittima della mafia, lo siamo stati io, i miei figli e le mie aziende». Rivela che, dopo la minaccia di rapimento dei figli, dovette ingaggiare una polizia privata (chiesi in questura una scorta ma mi risero in faccia), sprangai tutte le porte di Arcore e i miei figli furono costretti a studiare medie e liceo in casa, perdendo il contatto con gli altri amici. Poi, la mafia minacciò di incendiare la Standa di Catania se non avessi pagato il pizzo, io non ho pagato e me l’hanno incendiata. E io mi devo sentire dire da questi qua che io sono mafioso, vi rendete conto che infamia buttarmi addosso una accusa di questo genere?».
Il tour de force prosegue poi a Canale 5 dalla D’Urso, dove promette una «profonda riforma della giustizia» e della «burocrazia ammazza-aziende», una stretta sull’immigrazione clandestina frutto della teoria del buonismo» e dell’accoglienza, grazie a cui in Italia sono arrivate 620mila persone «a cui non possiamo dare un lavoro e che quindi finiscono col vivere ai margini della legalità,
bisogna risolvere l’emergenza della sicurezza». Per questo, riconosce forzando il suo naturale ottimismo, la fotografia del Paese attuale «è una brutta fotografia». La sua soluzione? «Chi ama l’Italia vota Forza Italia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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