Roma Sull'Islam non è d'accordo, sulla leva obbligatoria nemmeno, ma Matteo Salvini «ogni tanto è pirotecnico, non bisogna stare lì a smezzare le sue parole», osserva Silvio Berlusconi. Quest'alleato che in campagna elettorale «cerca di attirare sul suo partito più voti possibile e qualche volta va un po' più in là di quello che è scritto e controfirmato sul nostro programma», il leader di Forza Italia cerca ogni giorno di arginarlo e rimetterlo in riga. Però sottolinea sempre che l'accordo con la Lega regge e che, al di là delle sparate, con lui si può ragionare.
Anche sull'euro, sottolinea il Cavaliere a Circo Massimo di Radio Capital, «ha cambiato parere, prima non lo voleva più». Berlusconi, insomma, attribuisce all'avvicinarsi del voto la smania di alzare il tiro del numero uno del Carroccio. E, da voce moderata del centrodestra, marca le distanze da certe posizioni estreme. «Le moschee - sostiene - non si possono chiudere, come dice la nostra Costituzione c'è libertà per tutte le confessioni religiose, se non contrastano il nostro ordinamento e noi applicheremo questa norma». Né si può condividere l'affermazione salviniana per cui l'Islam non è compatibile con la Carta. «I musulmani per bene - spiega il leader azzurro - e in regola possono restare, ma se in nome dell'Islam o della religione qualcuno incita alla violenza o all'odio razziale o considera la donna un essere inferiore noi saremo rigorosi». Berlusconi sa bene che il tema dell'immigrazione è centrale in questa campagna elettorale, tanto più dopo i fatti di Macerata, e vuole spiegare bene la sua posizione. Dice che il razzismo in Italia «non esiste, ma se rinunciamo a controllo e contrasto dell'immigrazione può arrivare», che i suoi governi erano «riusciti ad arginare l'immigrazione», ma con la sinistra il fenomeno è diventato di massa, con 630mila clandestini «manodopera ideale per criminalità e anche terrorismo». Quanto a Traini e al suo raid razzista, lo definisce «uno psicopatico che spara in nome di una ideologia delirante»: «Non mi preoccupa il gesto di un singolo squilibrato, ma che ci sia chi inneggia allo sparatore». Per Berlusconi la gente ha paura, chiede alle istituzioni «una risposta che finora non c'è stata» e «le tensioni sono destinate a salire». Punta il dito: «Nella sua miopia la sinistra non capisce che le reazioni violente e i rigurgiti neofascisti, per fortuna limitati, nascono dal fatto che gli italiani non si sentono tutelati dallo Stato». E raccomanda: il 4 marzo, attenzione ai «salti nel buio», bisogna fermare la «setta pericolosa» del M5S. «I sondaggi ci dicono che la vittoria è vicina - annuncia il Cav, nel videomessaggio alla presentazione dei candidati del Lazio - e che i voti a Fi e al centro-destra sono i soli utili per avere 5 anni di governo stabile. Una scelta diversa porterebbe all'ingovernabilità, alla recessione, alla paralisi». Gli ultimi dati di Tecnè danno l'alleanza al 39,3 per cento (Fi al 18,3 e Lega al 13,2), con un M5S al 28 e un centrosinistra al 25,7. «Non ci sarà nessun accordo con il Pd», assicura Berluscon concetto poi ribadito in serata al tg di Enrico Mentana che gli chiede dell'ipotesi di larghe intese: «Assolutamente no». Fi sarà il primo partito dell'alleanza e indicherà il premier, insiste. Lui rimane incandidabile, per una condanna che «ha dell'incredibile», dice a proposito dei cosiddetti impresentabili e del fatto che neppure le sentenze definitive sono indice di colpevolezza.
Ma da ieri protagonisti del nuovo attacco giustizialista a Berlusconi sono soprattutto i grillini.
Prima con Di Maio che accusa il Cavaliere di avere in lista «gente che ha guadagnato con Mineo e Mafia capitale», affermazioni senza riscontro, e poi con Alessandro Di Battista va in piazza ad Arcore per dire che il leader di Forza Italia «ha pagato la mafia» e «dovrebbe stare a San Vittore». «Vicende già chiarite da sentenze e archiviazioni», dice Berlusconi a Mentana. E ai due leader grillini dà la stessa risposta: «Ho già dato mandato ai miei legali di procedere nelle sedi opportune».
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