Al di là delle contorsioni del gruppo dirigente di Forza Italia e delle critiche di chi vede nella presenza di Silvio Berlusconi a Bologna una deriva leghista, quella dell'ex premier pare l'unica scelta politicamente ragionevole, soprattutto per chi si propone ancora oggi come il collante del centrodestra. Che piaccia o no il nuovo corso del Carroccio, che lo si consideri troppo o troppo poco populista, l'assenza del leader di Forza Italia alla prima manifestazione nell'era renziana di quel che resta del centrodestra sarebbe stato uno strappo difficile da ricucire. Uno schiaffo non solo a Matteo Salvini, ma anche a Giorgia Meloni che con i Fratelli d'Italia all'invito del segretario leghista ha risposto «sì» senza esitazioni. Non esserci, insomma, sarebbe stato evidentemente un problema del quale difficilmente si sarebbero potute spiegare le ragioni. In particolare adesso, dopo la rottura del patto del Nazareno, con Forza Italia passata su posizioni decisamente più dure e con i fuoriusciti azzurri che sono in buona parte migrati nell'Ala filogovernativa di Denis Verdini.
Quel che appare strano, invece, è che un pezzo importante di Forza Italia abbia teorizzato che Berlusconi doveva restare a casa. E che a farlo siano stati soprattutto i dirigenti del Nord, gli stessi che da quindici anni governano sul territorio proprio insieme alla Lega. Non solo regioni come la Lombardia, il Veneto e la Liguria, ma anche decine e decine di grandi e piccoli comuni. Eppure - qualcuno solo perché escluso dalle ambasciate tra Berlusconi e Salvini - hanno insistito e molto affinché l'ex premier non accettasse l'invito del segretario leghista, come se questo potesse davvero non aver conseguenze su un percorso di riunificazione dell'area del centrodestra. Una strada dalla quale difficilmente si potrà prescindere, soprattutto adesso che una modifica dell'Italicum non è più un tabù. Ma anche se il premio di maggioranza dovesse rimanere alla lista e non andare alla coalizione, è evidente che con le elezioni politiche in agenda per il 2017 (comunque al più tardi nel 2018) da qualche parte si dovrà pure iniziare per cercare una sintesi nel centrodestra. Senza considerare che fra poco più di sei mesi ci sarà un appuntamento elettorale delicatissimo, con al voto città come Milano, Roma, Napoli, Torino e Genova. Scegliere la strada della disgregazione proprio adesso che si devono mettere sul tavolo le candidature di sindaci così importanti sarebbe stato politicamente assai poco ragionevole.
O dettato da motivazioni che hanno a che vedere con altro se è vero che - come faceva notare ieri in Transatlantico Augusto Minzolini - per molti dirigenti azzurri «il compromesso non è più una categoria della politica ma è diventato una categoria dello spirito».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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