Basta con la pena interminabile dei processi, con cittadini già assolti che devono confrontarsi per anni o per decenni con l'ostinazione dei pubblici ministeri. Come era inevitabile, il tema della giustizia fa irruzione nella campagna elettorale per le politiche del 25 settembre, e lo fa per iniziativa del leader che da quasi trent'anni indica nello strapotere della magistratura uno dei mali cronici del paese. Silvio Berlusconi affida a un messaggio di poche righe la prima parola d'ordine su questo fronte: «Quando governeremo noi, le sentenze di assoluzione, di primo o di secondo grado, non saranno appellabili. Un cittadino - una volta riconosciuto innocente - ha diritto di non essere perseguitato per sempre».
Parole semplici, in linea con quanto Forza Italia sostiene da sempre, e che ha cercato quando è stata al potere di tradurre in pratica. Ma che bastano a sollevare l'immediata reazione delle toghe organizzate, che evidentemente neanche in questa occasione intendono rinunciare a svolgere un ruolo attivo, e ben schierato, nella campagna elettorale. Con il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Peppe Santalucia che insorge: «La questione era stata affrontata dal legislatore nel 2006 con la legge Pecorella e la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge». Un commento che assomiglia molto a una promessa di guerra: se la legge annunciata da Berlusconi dovesse venire approvata, i pm si preparano a chiedere nuovamente che sia la Corte Costituzionale a spazzare via l'innovazione, come sedici anni fa.
Ma Santalucia e i suoi colleghi sono i primi a sapere che il clima è mutato. Al punto che un anno fa anche la commissione nominata dalla ministra Marta Cartabia per la riforma dei codici, presieduta da un giurista insigne come Giorgio Lattanzi, al termine dei suoi lavori propose la semplice e radicale modifica: se un imputato viene assolto, il pm non può appellare. L'Anm insorse, sostenuta dai mass media di area, e la Cartabia fece un passo indietro.
Peccato, per il partito dei giudici, che lo scenario che si prepara per il dopo elezioni appare assai diverso da quello che produsse la pallida riforma Cartabia. Se arriverà davvero la vittoria del centrodestra, la proposta lanciata ieri da Berlusconi appare destinata a divenire (nuovamente) legge. Nel giro di poche ore arrivano infatti due endorsement importanti. Uno è di Giulia Bongiorno, responsabile giustizia della Lega, secondo cui l'idea «sacrosanta» del Cavaliere «è un'antica battaglia, oggi più che mai attuale ed è anche nel programma elettorale della Lega». Poco dopo a spezzare una lancia significativa è Carlo Nordio, l'ex magistrato che Fratelli d'Italia pare intenzionata a proporre come ministro della Giustizia nel nuovo esecutivo: «Sono - dice Nordio al Giornale - assolutamente d'accordo. Poiché una condanna può intervenire solo aldilà di ogni ragionevole dubbio, come si può condannare un imputato quando il giudice precedente ha dubitato al punto di assolverlo?».
Certo, ci sarebbe poi da fare i conti con le eccezioni di costituzionalità che ieri Santalucia preannuncia. Ma Giulia Bongiorno fa già sapere che la nuova legge si potrà scrivere «attenti a tener conto di tutte le indicazioni della Corte costituzionale».
E comunque i tempi cambiano, le sensibilità e gli orientamenti della Consulta anche: come dimostra il fatto che proprio un suo ex presidente come Lattanzi avesse tenuto a battesimo la proposta di svolta. Una riforma che oltre a impedire calvari interminabili e sentenze contraddittorie, ridurrebbe a costo zero gli arretrati della giustizia.
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