La scissione non ancora dichiarata è già fatta, e «tra giovedì e venerdì» nasceranno i nuovi gruppi alla Camera e al Senato. Nella data c'è già uno degli elementi che rendono più farsesca che drammatica l'operazione: i nuovi gruppi, che saranno formati dai ben due correnti di scissionisti, i bersanian-dalemiani del Pd e gli anti-vendoliani di Sel, non possono permettersi di iniziare prima, perché mercoledì si vota la fiducia sul Milleproroghe. E non si può chiedere ai duri e puri compagni di Sel, che fino a ieri votavano e sparavano contro il governo di Renzi prima e di Gentiloni poi, di debuttare con l'acrobatica giravolta di un voto di fiducia. Che in seguito però dovrà essere dato, ogni volta che sarà necessario. Il modello del nuovo gruppo sarà quello di Denis Verdini: dare l'appoggio al governo senza se e senza ma, e anche senza chiedere posti di governo o sotto governo, onde evitare di creare fibrillazioni nella maggioranza, col rischio che salti tutto e i neo-scissionisti si ritrovino subito disoccupati. In verità, nella truppa parlamentare ci sono diversi mal di pancia, deputati e senatori che già si immaginavano sottosegretari con le mostrine e invece dovranno restare peones, ma D'Alema e Bersani sono stati ferrei: «Bisogna evitare di offrire pretesti a chi vuole elezioni. Faremmo un favore a Renzi», hanno spiegato i due grandi vecchi.
Ma, a differenza del loro ispiratore Verdini, i neo-scissionisti hanno un handicap non da poco: mentre il capo di Ala è forte al Senato, dove la maggioranza è fragile, e questo gli dà un peso specifico alto, i gruppi di ULpC (pare che il nome sarà «Uguaglianza e Libertà per il Centrosinistra», idee migliori al momento non sono pervenute) contano poco o nulla ai fini della maggioranza. Perché alla Camera affluiranno 16 fuoriusciti di Sel, finora all'opposizione, ma saranno ininfluenti. Mentre al Senato si sposteranno nel nuovo gruppo solo un po' di bersaniani che erano già in maggioranza, e due ex Sel ora nel gruppo misto (Stefano e Uras) che già hanno votato la fiducia a Gentiloni e sono già con la sinistra filo-renziana di Pisapia. Insomma, ai fini dei numeri della maggioranza la scissione non sposterà nulla.
«Non andremo in Direzione, perché non parteciperemo al congresso del Pd», annunciano Nico Stumpo e Roberto Speranza. La diserzione della riunione di oggi al Nazareno, che dovrà nominare la commissione incaricata di gestire le assise, dà il via formale alla spaccatura. Ma i bersaniani ancora non la annunciano ufficialmente, perché hanno il problema Emiliano: l'uomo ha detto: «morte a Renzi» all'assemblea scissionista del Vittoria, il giorno dopo ha detto: «viva Renzi» all'assemblea del Pd, poi la sera stesso ha detto: «basta ce ne andiamo», poi ieri mattina ha dato interviste contrastanti a vari giornali, dicendo: «me ne vado» e anche «no, resto e mi candido al congresso», e comunque «ci dormirò sopra»; quindi nessuno ci capisce più nulla. «Neanche lui, temiamo», confidano preoccupati dal fronte scissionista, «evidentemente non ha ancora deciso dove lo si nota di più».
Per questo i dalemiani hanno provato a blandirlo, per evitare che la nuova formazione sembri solo una riedizione sfigata dei Ds, assicurandogli che lui sarebbe il capo indiscusso di ULpC, e ovviamente il candidato premier nel futuro. Ma Emiliano resta con un piede in ogni staffa e il suo supporter Francesco Boccia in Direzione ci andrà.
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