Bersani, generale senza voti: nel suo paese zero iscritti dem

A Bettola Pd senza tesserati, chiuso pure il circolo

Bersani, generale senza voti: nel suo paese zero iscritti dem

Roma - Nemo propheta in patria, dice l'adagio latino: nessuno è profeta a casa sua. Locuzione che ben si attaglia al caso Bettola, il paese del piacentino ai piedi degli Appennini che ha dato i natali a Pier Luigi Bersani.

A Bettola, non solo gli iscritti al Pd sono zero (zero: evidentemente neppure il fratello dell'ex segretario Pd, che lì vive), ma il partito di cui Bersani è stato leader e candidato premier non partecipa neppure alle elezioni comunali della prossima primavera. Si limiterà probabilmente ad appoggiare, senza farsi notare troppo, il sindaco uscente Sandro Busca, sindacalista Cisl che ha vinto nel 2012 con una lista tutta «civica».

Ora, si dirà, che non ci siano iscritti al Pd nel paese di Bersani è anche comprensibile: probabilmente i pochi (quaranta) che c'erano fino al 2014 erano tutti parenti o amici di infanzia del segretario, e quando lui si fece da parte dopo la sconfitta elettorale del 2013, e Matteo Renzi sbaragliò la Ditta bersaniana alle primarie, loro stracciarono la tessera per protesta o per nostalgia. L'unico circolo Pd del paese, infatti, venne chiuso proprio quell'anno, nei mesti mesi che seguirono il naufragio della gioiosa macchina da guerra «Italia Bene Comune», la coalizione elettorale Pd-Sel-Socialisti-Centro Democratico che Bersani mise in piedi con Vendola e Nencini, ma anche Tabacci e l'ex dipietrista Donadi (quando oggi Bersani invoca la necessità di un «nuovo Ulivo» probabilmente si riferisce a quella sua trionfale operazione).

Ma resta il fatto che Bettola si è sempre dimostrata ingrata verso il suo più illustre figlio, che pure lì è venuto alla luce e ha mosso i suoi primi passi, ha fatto il chierichetto in parrocchia (secondo il mito, organizzò anche uno sciopero dei colleghi chierichetti per protestare contro la distribuzione delle mance fatta dal parroco) e ha lavorato alla pompa di benzina del padre. «Bettola è l'Italia», disse Bersani quando, nel 2012, decise di aprire proprio lì, in un clima da Amarcord, la sua campagna per le primarie contro Matteo Renzi. Con tanto di foto alla pompa di benzina che era di famiglia e di raffinato manifesto con la riproduzione del quadro di Hopper intitolato Gas (benzina).

Mai profezia fu più infausta: Bersani vinse ovviamente le primarie (a Bettola e in Italia) grazie alla macchina blindata della Ditta. Nel paese natale prese 222 preferenze, contro i 35 coraggiosi ribelli che invece votarono Renzi.

Ma poi perse clamorosamente le elezioni vere, nel 2013: in Italia, ma pure a Bettola. Nel feudo bersaniano infatti vinse Berlusconi, col 41,49% al centrodestra, mentre il Pd si fermò al 31,6%. Meglio che nel Paese, comunque, dove il Pd bersaniano si fermò al 25,4%.

Così, si intuisce una certa perfidia nella voce partita qualche giorno fa dal Nazareno renziano, che parlava di Bersani candidato sindaco a Piacenza, dove risiede, alle prossime amministrative: «Gli chiederemo di sacrificarsi per la Ditta».

Il Pd della città emiliana fece sapere che sì, «è naturale che si valuti la disponibilità dei propri dirigenti più autorevoli». L'autorevole dirigente Bersani, però, ha prudentemente - e con una certa veemenza - rifiutato.

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