Dopo che a marzo il presidente americano Joe Biden si era detto «molto preoccupato» per la riforma del sistema giudiziario che stava spaccando Israele, auspicando un «compromesso», e l'ambasciatore israeliano a Washington era stato convocato al dipartimento degli Esteri per protesta contro un'iniziativa riguardante gli insediamenti nei Territori occupati palestinesi, adesso - dopo mesi di manifestazioni di protesta nello Stato ebraico - Biden ha invitato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad un incontro negli Stati Uniti che si dovrebbe tenere prossimamente.
L'ufficio del primo ministro ha fatto sapere che Netanyahu ha accettato l'invito e ha concordato che i team israeliano e americano si coordineranno per i dettagli. La telefonata tra Biden e «Bibi», la prima in quattro mesi, dopo le tensioni tra i due alleati seguite alla contestata riforma della giustizia, avviene all'indomani del ricovero del premier in seguito ad un malore e a poche ore dalla partenza per gli Stati Uniti del presidente israeliano Isaac Herzog, che ha in agenda un incontro con Biden e un discorso al Congresso. Una visita sullo sfondo di relazioni tese con il governo Netanyahu e delle rinnovate violenze tra israeliani e palestinesi, la seconda di Herzog negli Stati Uniti in meno di nove mesi, mentre per Netanyahu quello appena ricevuto è stato il primo invito da quando è tornato in carica a dicembre, una chiara espressione dell'irritazione dell'amministrazione Biden nei confronti delle politiche dell'esecutivo di estrema destra guidato dal leader del Likud.
Il giudice della Corte Suprema israeliana Noam Sohlberg, intanto, presentato dal governo come il «padre spirituale» della proposta di legge promossa dal governo sulla clausola di ragionevolezza, uno degli elementi fondamentali della riforma giudiziaria che mira a cancellare la possibilità per la magistratura di pronunciarsi sulla «ragionevolezza» delle decisioni del governo, ha preso le distanze dall'iniziativa, sconfessandola.
Sohlberg ha fatto sapere che pur sostenendo la necessità di un dibattito sui «giusti limiti della discrezionalità giudiziaria», non pensava a un emendamento legislativo ma «a una tendenza che si sarebbe verificata attraverso le sentenze dei tribunali».
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