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Biden svolta subito a sinistra. E punta a (tar)tassare i ricchi

Promette 11 milioni di posti di lavoro e prepara una riforma fiscale per chi guadagna oltre 400mila dollari

Biden svolta subito a sinistra. E punta a (tar)tassare i ricchi

Joe Biden lancia la sua ricetta per l'economia. Il presidente eletto, insieme alla vice Kamala Harris, ha presentato dalla sua Wilmington (Delaware) il piano «per la ripresa e la ricostruzione a lungo termine» dopo la pandemia. L'obiettivo è creare almeno 11 milioni di posti di lavoro e 670 miliardi di dollari di Pil annuo che sono stati spazzati via dal coronavirus. Ma anche avere un fisco più equo e portare avanti la lotta alle diseguaglianze economiche, eliminando il più possibile le discriminazioni di genere e razziali.

L'agenda che Biden seguirà nei primi 100 giorni alla Casa Bianca sarà dedicata a fronteggiare la pandemia. Poi scatterà l'ambizioso progetto che, come più volte ripetuto in campagna elettorale, prevede una spesa di oltre 7mila miliardi di dollari in dieci anni: risorse per ammodernare il paese e riportare sul mercato del lavoro gli americani tagliati fuori dal Covid. Sotto la spinta dell'ala progressista del partito c'è poi l'idea di una nuova riforma fiscale, che punterebbe ad un aumento delle tasse per chi guadagna più di 400mila dollari l'anno in modo da rendere il sistema più giusto. La strategia punta a spazzare via ogni traccia del trumpismo, con una nuova idea di sviluppo fondata anche su un principio di giustizia sociale. La realizzabilità dei piani del ticket Biden-Harris deve tenere conto, tuttavia, della possibilità di un Congresso diviso, nel caso i repubblicani riescano a mantenere il controllo del Senato, scenario che trasformerebbe il presidente in un'anatra zoppa. Ad ora il Grand Old Party ha 50 seggi, contro i 48 dei democratici, e deve vincere almeno uno dei due ballottaggi in Georgia il 5 gennaio per aggiudicarsi la maggioranza di 51 poltrone. In una situazione di parità, il voto decisivo spetterebbe infatti alla vice presidente Harris.

Trump, intanto, non arretra di un passo, e torna ad affermare che «siamo di fronte alle elezioni più disoneste della storia». Il presidente parla nuovamente dei presunti brogli verificatisi durante il voto e attacca Dominion, la società che ha fornito il software per la tabulazione delle schede a oltre 30 stati Usa e che gli avrebbe sottratto centinaia di migliaia di preferenze. Nel frattempo la sua campagna ha ritirato uno dei ricorsi legali presentati in Pennsylvania, dove si chiedeva di fermare la certificazione dei voti postali, perché scrutinati senza la presenza di osservatori rappresentanti dei repubblicani. Resta invece in piedi nello stato il ricorso per irregolarità non considerate nelle schede per corrispondenza in alcune contee a maggioranza democratica. Secondo il sito Axios, che cita alti dirigenti del governo, Trump intende pure rafforzare il giro di vite sulla Cina nelle ultime settimane alla Casa Bianca per cementare la sua eredità, rendendo insostenibile per la prossima amministrazione cambiare il corso politico nei confronti Pechino. Il piano è quello di imporre sanzioni o restrizioni ad altre società, entità e dirigenti cinesi per complicità nella violazione dei diritti umani a Hong Kong e nei campi di lavoro nello Xinjiang o per minaccia alla sicurezza nazionale.

Inoltre, Pennsylvania Avenue starebbe discutendo di allargare la lista del Pentagono sulle società cinesi ritenute legate all'esercito di Pechino, dopo l'ordine esecutivo con cui il tycoon ha già vietato investimenti americani in 31 aziende del Dragone.

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