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Il "big bang" dei 5 Stelle. Espulsi in 36, è guerra

A rischio cacciata altri dieci deputati e sei senatori Veleni: "Di Maio e Grillo volevano liberarsi di loro"

Il "big bang" dei 5 Stelle. Espulsi in 36, è guerra

Il Big Bang del partito del Vaffa comincia con un «cordiale saluto». Termina con queste parole la letterina inviata dai capigruppo in Parlamento ai 36 espulsi grillini tra Camera e Senato. Una cifra che potrebbe superare però ben presto i 50 parlamentari. Perché sono stati colpiti dal provvedimento di espulsione anche gli assenti non giustificati. Per loro ci sarà un po' di tempo «per presentare una giustificazione». Altrimenti calerà la scure delle epurazioni. Il M5s dunque perde 15 senatori e 21 deputati. Ai quali si aggiungeranno probabilmente altri 10 deputati e sei senatori assenti ingiustificati. Per un totale di 52. Anzi, tra i 21 epurati di Montecitorio c'è anche Rosa Menga, assente non giustificata, alla quale però è stata contestata la dichiarazione in dissenso dal gruppo. Il reggente Vito Crimi annuncia la cacciata dei deputati. «Chi ha scelto di votare diversamente ha scelto di chiamarsi fuori da questo gruppo», scrive Crimi. Che precisa: «È bene ribadire che quella espressa dal M5s non è una fiducia incondizionata». Si tratta della più grossa tornata di espulsioni nella storia dei Cinque Stelle. Una resa dei conti che in tanti auspicavano da tempo. In queste ore i big riflettono sull'impossibilità di tenere insieme spinte contrapposte, accogliendo quasi come una liberazione la cacciata dei ribelli. Dello stesso avviso Beppe Grillo. Il Garante ha snobbato sin dall'inizio le ragioni della fronda. Ansioso anche lui di liberarsi delle zavorre del passato. Prossimo obiettivo del fondatore è spalancare le porte del direttorio a Giuseppe Conte, magari con un ruolo di coordinatore, una sorta di primus inter pares, formula però bocciata agli Stati Generali. Mentre lo stato maggiore è preoccupato dall'incognita Davide Casaleggio. Il guru resta in silenzio. Ma il timore è che possa seguire i ribelli in un ipotetico nuovo contenitore politico. Una scelta che potrebbe avere conseguenze devastanti per il M5s.

E però ora bisogna prima capire cosa faranno i dissidenti. Alessandro Di Battista, dopo aver invitato a costruire una «sana e robusta opposizione» adesso smentisce. Pubblica lo screenshot di un lancio d'agenzia in cui fonti del M5s lo accusano di comportarsi come Matteo Renzi all'epoca della scissione dal Pd. Il paragone con Renzi lo manda fuori fase. «Non mi occupo di correnti, scissioni, nuove forze politiche. Ho solo idee diverse dalle vostre. Rispettatele senza comportarvi da infantili avvelenatori dei pozzi. State al governo? Occupatevi della classe media e della piccola e media impresa. Non di me. Patti chiari e amicizia lunga», scrive Dibba sui social. Nonostante la smentita, i ribelli attendono l'intervento di Di Battista previsto per oggi pomeriggio in diretta Instagram. E comunque, Dibba o non Dibba, ormai viene data quasi per scontata la creazione di un gruppo parlamentare alla Camera, dopo che è stata confermata la notizia di contatti dei ribelli al Senato con l'Idv per il simbolo. Operazione non semplice, perché secondo il regolamento di Palazzo Madama dovrebbe aderire al gruppo almeno un eletto sotto quel simbolo. L'Idv si era presentata nella lista Civica Popolare, che ha eletto il solo Pier Ferdinando Casini. E gli stessi frondisti sono divisi al loro interno. «Guarda che non è facile che trovino la quadra», dice un deputato governista. Intanto l'ex ministro Lorenzo Fioramonti osserva le mosse della frangia «progressista» della dissidenza.

Il senatore Nicola Morra conferma la sua volontà di candidarsi nell'organo collegiale e pubblica i versi della canzone degli U2 Walk On, dedicata alla leader birmana Aung San Suu Kyi, recentemente destituita da un golpe militare. Alcuni espulsi sperano in una marcia indietro, confidano nella battaglia legale. Si aggrappano a ciò che dice Raffaella Andreola, «probivira» fuori dal coro, consigliera comunale a Villorba, provincia di Treviso. Andreola è contraria alle espulsioni prima dell'insediamento del nuovo organo collegiale. La vicepresidente del Senato Paola Taverna prova a mediare: «Chi ha votato in dissenso è parte del M5s», dice.

Ma Di Maio e Grillo vogliono liberarsi dei ribelli.

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