Politica

Blair, la guerra sbagliata «L'attacco a Saddam poteva essere evitato»

Il rapporto Chilcot mette sotto accusa l'ex premier labour e la sua alleanza con Bush

Gian Micalessin

I dittatori passati a miglior vita sono come il vino. Con il tempo riescono sempre a far ricordare il meglio di sé. Stavolta, però, non bisogna far confusione. Il rapporto Chilcot sulla decisione del governo inglese di partecipare alla guerra contro Saddam Hussein nel 2003 pubblicato ieri a Londra non è né una suggestione malinconica, né, tantomeno, un «flatus vocis». E un rapporto enciclopedico, lungo quattro volte Guerra e Pace, messo insieme dopo sette anni di ricerche e inchieste da una commissione guidata dal 77enne funzionario di Sua Maestà in pensione Sir John Chilcot.

Ma il rapporto pur essendo maestoso riesce a essere più implacabile che noioso. Sfogliare un'inchiesta ufficiale in cui le motivazioni della guerra addotte a suo tempo dal premier Tony Blair e dal governo di Sua Maestà vengono definite «sopravvalutate» e «poco soddisfacenti dal punto di vista legale» è assai più devastante che rimpiangere un dittatore. Ascoltare il pentimento dell'iracheno che nel 2003 prendeva a mazzate la statua a Saddam e ieri rimpiangeva il dittatore in un'intervista alla Bbc può far effetto. Come dal punto di vista politico può destar interesse la battuta di un Donald Trump pronto a lodare un rais impareggiabile nel far fuori i terroristi. Dal lavoro di Sir Chilcot traspare però qualcosa di assai più devastante. Quel rapporto, in cui ogni decisione dell'esecutivo viene soppesata in un susseguirsi d'interviste e controinterrogatori lunghi sette anni, non è un'operazione di riabilitazione del dittatore, ma di distruzione, livellamento e azzeramento del sistema di governo laburista di Tony Blair. Un rapporto che minaccia d'aggiungersi al Brexit e scavare un altro buco nero capace d'inghiottire quella risicata dimensione spazio temporale che ancora lega l'opinione pubblica e un establishment sempre più privo di credibilità.

Accusare i ministri di Tony Blair di essersi accontentati, all'epoca, d'ascoltare il parere legale del Procuratore Generale Lord Goldsmith senza discuterlo nei dettagli equivale a tirare una mazzata a un governo simbolo e perno della democrazia britannica. E dal punto di vista storico politico ancor più deturpante appare il giudizio sulle pratiche usate da Blair per convincere l'opinione pubblica. «La deliberata scelta - scrive il rapporto - di formulazioni che avallavano i comunicati sottoscritti da Blair anziché le conclusioni raggiunte dal Jic (Comitato Congiunto sull'Intelligence) nell'elaborare le prove raccolte indica una chiara differenza tra i giudizi del Jic e le sue opinioni».

Come dire che il premier barava sistematicamente e sceglieva di utilizzare non tutte le prove raccolte dai servizi segreti, ma solo quelle necessarie per convincere l'opinione pubblica a seguirlo nelle sue decisioni. Un'accusa resa ancor più lapidaria dalla conclusione secondo cui si scelse la strada della guerra senza prima esaminare tutte le possibili soluzioni per un disarmo pacifico di Saddam Hussein. «Le opzioni diplomatiche annota il rapporto - non erano ancora esaurite. E non era stato ancora raggiunto un punto che rendeva inevitabile l'operazione militare».

Ma la colpa che rischia di rendere storicamente indifendibile l'ex premier è la plateale sottovalutazione della minaccia di Al Qaida. «Blair era stato avvisato - ricorda il rapporto - che un'invasione dell'Iraq avrebbe aumentato il livello della minaccia per il Regno Unito portato da Al Qaida e dalle sue affiliazioni». E la vera perfidia, in tempi di Stato Islamico, è l'aggiunta in calce di una dichiarazione del 2011 in cui Blair di dice ancora convinto che «far marcia indietro per la minaccia del terrorismo sarebbe stato completamente sbagliato».

Non a caso il Blair teso e nervoso apparso ieri davanti ai giornalisti non ha saputo far di meglio che giustificare il suo operato con la parola data all'alleato e amico George W. Bush. «Provo rammarico, scuse e pena, più di quanto possiate immaginare - balbetta - ma il rapporto chiarisce che non vi furono menzogne, il parlamento e il governo non furono ingannati e non si trattò in segreto l'impegno ad andare in guerra». Una giustificazione scontata e già delegittimata da un rapporto che tra le sue pagine include anche i memo e le opinioni scambiate al tempo dai due capi di Stato.

Note e dissertazioni in cui Tony Blair appare supinamente allineato al presidente americano e incapace di fargli cambiar idea.

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