Il condono fiscale non è un condono ma una rottamazione. E rischia di essere un flop. Sulla rete già si moltiplicano i commenti dei delusi che speravano nella «pace fiscale». Dall'ipotesi di una chiusura tombale delle cartelle a «saldo e stralcio», utilizzando tre diverse aliquote al 6, 15 e 25 per cento a seconda dell'entità della cartella, si è infatti passati di fatto a un prolungamento della rottamazione delle cartelle e di tutti i debiti in riscossione a partire dal 31 gennaio 2000, sulla falsariga di quella avviata dal governo Renzi. Con un vantaggio (per i contribuenti) tutto da dimostrare e uno svantaggio: la tempistica delle rate si allarga a cinque anni con rate semestrali, l'interesse passa dallo 0% allo 0,3%. Ad essere condonati saranno soltanto le sanzioni e gli interessi, mentre il debito fiscale dovrà essere integralmente ripagato. Chi è in regola con i pagamenti, potrà ottenere la dilazione della parte restante in 10 rate, pagando soltanto un piccolo interesse. «Ma non è detto che le rate semestrali siano convenienti dice al Giornale Gianluca Timpone, commercialista esperto in contenziosi con l'Agenzia delle Entrate perché l'importo sarebbe comunque molto alto. E se non fai fronte all'impegno decade la rottamazione. E peraltro questa decisione rischia di essere un boomerang, perché i contribuenti in difficoltà si aspettavano ben altro. Così com'è non funzionerà e non porterà il gettito sperato (11 miliardi in cinque anni, ndr)».
È un'altra sconfitta per la Lega, perché un condono tombale a saldo e stralcio sarebbe stato indigeribile per i Cinque stelle, che infatti si ostinano a parlare di «pace fiscale». «La pace fiscale c'è se tiri una riga, chiudi il pregresso e ricominci da capo», magari con una flat tax (altra grande assente dalla manovra), commenta ancora Timpone.
In ballo ci sono 817 miliardi di debiti, di cui solo il 16% sarebbe realmente esigibile. Circa 52 miliardi. «Chi voleva rottamare avrebbe già rottamato», dice il commercialista. Viceversa, un condono tombale avrebbe dato veramente respiro a contribuenti ed aziende che, per colpa della crisi, non sono riusciti a far fronte al pressing dell'Erario. La rottamazione suona anche un po' come una presa in giro. Perché pagherebbe (e tanto) anche chi ha ragione. In caso di contenzioso, infatti, se l'Agenzia delle Entrate è stata sconfitta in primo grado, il contribuente potrà chiudere la lite pagando il 50% di quanto richiesto dal Fisco. Nel caso in cui il contribuente abbia vinto anche in secondo grado, allora basterà il 33%, altrimenti si va in Cassazione. «Ma se io ho vinto in primo e secondo grado non è conveniente scontare il 33%. Ai tempi del condono di Tremonti del 2002 lo sconto in caso di vittoria in primo grado era del 10% e infatti ci fu un record di adesioni. Anche questa ipotesi è destinata a non portare a casa i soldi che il governo spera», conclude Timpone.
Peraltro non è detto che funzioni sempre. Secondo la Corte dei Conti la vecchia rottamazione ha portato un mancato gettito di 9 miliardi. Tutti contribuenti in difficoltà con le rate che hanno pagato le prime e basta. Cittadini e imprese finite nei guai spesso per accertamenti basati sulla presunzione che alcuni movimenti di denaro nascondano alchimie contabili. Con giudizi che possono durare anche 10, 11 anni.
Intanto l'effetto-annuncio ha già fatto perdere all'Erario almeno altri due miliardi.
Già, perché pagare se arriva il condono? Il guaio è che se saltano le entrate del condono mancano i soldi per pagare le costose riforme, come l'abolizione della legge Fornero. «La finanzieremo con il condono, turiamoci il naso», aveva detto il ministro Paolo Savona qualche giorno fa. Ma evidentemente il condono tombale per i grillini puzzava troppo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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