Non potendo dire di aver tagliato le tasse, visto che le hanno aumentate (2 miliardi di cosiddette «microtasse» in più già l'anno prossimo), la maggioranza giallorossa si è inventata una formula che ha qualcosa di geniale: il «non aumento», spacciato come diminuzione. Qui va riconosciuta un'abilità non indifferente nel gioco delle tre carte. L'Iva è stata tagliata? Ma neppure di un centesimo. Però il governo sta sbandierando ai quattro venti, come fosse una clamoroso sconto agli italiani, il fatto che l'Iva non sia aumentata dal 22% al 25%. «L'aver evitato l'aumento dell'Iva, che sarebbe costato, in media, 500 euro in più a famiglia, rappresenta un grande risultato di cui siamo orgogliosi» spiega gonfiando il petto la viceministra grillina Laura Castelli. In sostanza, il disinnesco dell'aumento Iva (che hanno fatto sostanzialmente tutti i governi precedenti) viene venduto come se avessero abbassato l'Iva del 3%. Stessa cosa no? Anche sulla cedolare secca per gli affitti concordati il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri si è esibito in una contorsione da maestro yoga. Nelle prime bozze della manovra il governo aveva stabilito l'aumento dell'aliquota dal 10% attuale al 12,5%. Aumento? Macché, è un abbassamento dell'aliquota ha spiegato Gualtieri: «Questa misura va vista con più attenzione. In realtà, l'aliquota del 10% era temporanea ed era destinata a risalire al 15%. Con il nostro intervento invece la rendiamo strutturale al 12,5%. A ben vedere quindi si tratta di una riduzione e non di un aumento di tasse». Chiaro no? Se aumenta al 12,5% ma non al 15%, vale come taglio delle tasse. Il ritocco all'insù (all'ingiù, secondo il governo) è poi saltato, dopo che il settore dell'edilizia, già in ginocchio dopo dieci anni di crisi dell'immobiliare, è insorto.
Ma il giochetto «non abbiamo aumentato quindi abbiamo ridotto» dev'essere piaciuto perché torna di continuo. A sentire Di Maio sembra che le partite Iva abbiano incassato un regalo dal governo. «Se le giovani partite Iva potranno continuare a godere del regime al 15% è grazie al Movimento». Gli hanno forse fatto uno sconto fiscale? No, al contrario, il governo ha ridotto la platea di partite Iva che possono accedere alla flat tax, quindi le ha stangate. Ma siccome potevano cancellarla del tutto, e non l'hanno fatto, per Di Maio è come se il M5s avesse tagliato le tasse alle partite Iva. Non è proprio la stessa cosa, ma abbiamo capito che i «non aumenti» equivalgono ad un taglio nella bizzarra logica giallorossa. Nella manovra stava per passare un marchettone per i funzionari dei ministeri, con una dotazione di 100 milioni di euro per finanziare gli aumenti di stipendio. Bloccato l'aumento, il grillino Buffagni si è precipitato su Facebook per fare un video intestandosi il taglio dell'aumento che ancora non c'era. Ma il campione in questa disciplina è Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva si è ormai ritagliato il ruolo di quello che prima approva le nuove tasse poi le contesta chiedendone il taglio. L'ultima invenzione di Italia Viva è una petizione contro l'aumento dell'imposizione fiscale sulle auto aziendali, concepita dalla maggioranza di governo di cui fa parte appunto Italia Viva. «Ma il Marattin che nelle riunioni di maggioranza non alzava la mano contro le proposte contenute in manovra è lo stesso che oggi vuole modificarle in Parlamento?» chiedono dal Pd, irritati dal doppio gioco dei renziani.
Che però fanno un po' tutti nella maggioranza. Mentre l'aumento del pil previsto per il 2020 non va oltre un modesto 0,6%. Certo, se pensiamo che poteva esserci una recessione, si può dire che il governo fa crescere l'economia.
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