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Nel finale della sfilata di Michael Kors si aprono le quinte su un lato del gigantesco salone di Cipriani a Wall Street. Dietro c'è una fedele riproduzione del palcoscenico dello Studio 54 dove Barry Marilow esegue dal vivo Copacabana, un classico da disco dance. Le modelle lo raggiungono, cominciano a ballare e per un attimo siamo di nuovo lì, sulla porta del mitico locale al 254 della 54sima strada di New York. Durò solo nove anni (dal '77 all''86) ma ha visto e fatto di tutto tanto che ancora oggi si dice «È facile tirar fuori un ragazzo dallo Studio 54, quello che proprio non riesci a fare è tirar fuori lo Studio 54 da un ragazzo». Michael Kors non sfugge alla regola e con l'leganza che lo contraddistingue, dipinge con abiti e accessori l'affresco di un'epoca o, meglio, la sua trasposizione contemporanea. In ogni uscita c'è qualcosa che ti fa pensare a Bianca Jagger che per il suo compleanno si presentò in pista su un cavallo, oppure a Diane Von Furstemberg agli inizi del suo folle matrimonio con il principe Egon. Un modello ricorda il giovane Tom Ford ancora con tanti capelli ricci, un altro a noi sembra il ritratto di Halston e al nostro vicino quello di Yves Saint Laurent in visita a Manhattan. C'è di sicuro un'idea di Baryshnikow con il montone aperto sul pullover a collo alto. Lo stesso designer indica una gonna asimmetrica in denim con un giaccone doppiopetto blu come «qualcosa che piacerebbe alla Ali McGraw di Love Story». Il citazionismo finisce qui tanto che la vera Patti Hansen (moglie di Keith Richards dei Rolling Stones) passa quasi inosservata presi come siamo ad applaudire il completo in cashmere nocciola, il boa di mongolia sul tailleur da giorno, l'abito da sera incrostato di pailettes viola e tutti gli accessori. Sarà dura replicare la nonchalance di quelle donne pazzesche, ma qualcosa si può fare con le belle borse dal nuovo logo MKC (la C sta per collection), le stupende scarpe alte e glietterate in alternativa agli stivali di pitone e gli adorabili cappelli fatti da Stephen Jones per Kors. Anche Philipp Plein sceglie un tempio della notte newyorkese per la sua doppia sfilata (la prima è per la collezione Billionaire) con cena prima e danze scatenate poi. L'azione si svolge al The Grill, ristorante da 300 dollari a testa che un tempo faceva parte del Four Season. Gli invitati sono 230, i conti sono presto fatti anche se il sito di pettegolezzi TMZ parla anche di un ingaggio da 900 mila dollari per una performance di Kayne West che sarebbe finito in tasche sconosciute. Di sicuro il marito di Kim Kardashjan non c'è mentre con Plein si presenta nel finale Mickey Rourke. La collezione sembra ispirata a un immaginario far west post moderno con le ragazze nei panni delle più belle del saloon. Se davvero Plein comprerà la griffe Roberto Cavalli ne vedremo di tutti i colori. Ne vediamo parecchi anche da Coach storico marchio di pelletteria disegnato dall'inglese Stuart Vevers che ha chiesto all'artista Kaffe Tasset di tratteggiare i fiori da far stampare sugli abiti. Il risultato è interessante come del resto il lavoro sui blazer di pelle rosa e il logo impresso sul montone rovesciato. La moda americana ha davvero bisogno di ripensarsi se urla al miracolo per questa collezione molto carina e per quella un po' troppo concettuale di Proenza Schouler, brand disegnato dal duo composto da Lazaro Hernandez e Jack Mc Collough. La loro sfilata è tutta un'asimmetria, un gioco di pieghe che fanno quello che vogliono, di scapolari che diventano paltò: niente di che. Carinissima la presentazione di Veronica Beard, brand creato da due cognate con lo stesso nome e un'identica passione per la moda.
Il loro primo modello è un blazer battezzato Dickey con cuì fanno il 30 per cento del loro fatturato da 100 milioni di dollari l'anno. Megan Markle è spesso fotografata con abiti delle Veronicas e loro hanno presentato una collezione in 14 taglie: dalla XXS alla supercurvy.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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