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Boccassini fa spiare un collega perché andò in visita ad Arcore

Nel mirino il pm milanese Esposito. Suo padre, giudice di Cassazione, condannò Berlusconi nel caso Mediaset

Boccassini fa spiare un collega perché andò in visita ad Arcore

«Alla Procura della Repubblica, procuratore aggiunto dottoressa Ilda Boccassini». Di informative al capo dell'antimafia milanese, l'ufficiale di polizia giudiziaria ne avrà compilate a centinaia. Ma difficilmente ne avrà presentata una come questa. Perché «in data 12 febbraio 2014 venivano delegati a questa sezione di pg» una serie di accertamenti che avevano un bersaglio decisamente inedito: un altro pubblico ministero dell'ufficio milanese. Un collega della dottoressa Boccassini. Pedinato e «spiato» attraverso i tabulati telefonici.

Il bersaglio si chiama Ferdinando Esposito, figlio del giudice di Cassazione che ha condannato Silvio Berlusconi per il caso diritti tv Mediaset e anche nipote dell'ex procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito, nonché oggetto della denuncia di un avvocato, Michele Morenghi. Morenghi ha raccontato molte cose al procuratore Boccassini. Ha accusato Esposito di essersi tenuto dei soldi che gli aveva prestato. Di aver utilizzato poliziotti come autisti per le sue amiche. E - soprattutto - di essere andato a casa di Silvio Berlusconi ad Arcore, nel pieno del processo Ruby, presentandosi come il volto umano della procura milanese. È un reato andare ad Arcore? Ed è argomento di competenza dell'antimafia? Sta di fatto che Ilda Boccassini ha ritenuto di procedere contro il suo giovane collega. Muovendosi su un crinale di legittimità piuttosto sottile.

Perché sul pubblico ministero milanese - come stabilisce il codice - avrebbero dovuto indagare i magistrati di Brescia, che invece sono subentrati solo in un secondo momento. Le carte dell'inchiesta riportano un'autorizzazione che il procuratore bresciano Tommaso Buonanno avrebbe dato a voce alla Boccassini per svolgere gli atti urgenti in relazione al caso-Esposito. Ma qual era l'urgenza in questa vicenda? Eppure tutto si consuma nel giro di pochissimo tempo. Questione di ore. Il 12 febbraio del 2014 viene depositato a Milano l'esposto dell'avvocato Morenghi, quasi identico ad alcune lettere anonime arrivate in Procura nei giorni precedenti, indirizzate proprio alla Boccassini. Lo stesso giorno, Morenghi viene sentito come persona informata sui fatti. E sempre lo stesso giorno, l'ufficio del procuratore Boccassini delega la polizia giudiziaria a una lunga serie di accertamenti. Tra cui due servizi di «osservazione, controllo e pedinamento» a cui Esposito viene sottoposto il 12 e il 13 febbraio, l'acquisizione del traffico telefonico del suo cellulare, oltre all'escussione di alcuni testimoni. Sei giorni più tardi - il 18 febbraio - sul tavolo del procuratore aggiunto arriva l'esito degli accertamenti della polizia giudiziaria. Quindi, confezionato il fascicolo, di lì a poco verrà trasmesso a Brescia, che proseguirà l'indagine.

Ed ecco come è andata a finire. Che di Morenghi - il grande accusatore - il tribunale del Riesame di Brescia ha sottolineato la «inaffidabilità narrativa» e le «condotte equivoche». Che il fascicolo a carico di Esposito si è chiuso con un'archiviazione. E che il giovane magistrato milanese - a cui qualche leggerezza la si può anche imputare, come i prestiti allegri, le case a spese altrui e l'essersi fatto pizzicare nello stesso ristorante con Nicole Minetti nel pieno dello scandalo Ruby - dalla prossima settimana lascerà l'ufficio del capoluogo lombardo per trasferirsi temporaneamente a Torino. Pronto però a giocarsi un'ultima carta: un esposto disciplinare al procuratore generale della Cassazione contro il suo (ormai ex) capo Edmondo Bruti Liberati e l'aggiunto Ilda Boccassini.

Nuovo fiele per la Procura più avvelenata d'Italia.

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