Sondaggi in calo, elogi al Partito Comunista, confusione sulle alleanze. Stefano Bonaccini e i suoi cominciano a essere preoccupati per il risultato del congresso del Pd. Solo un mese fa la pratica per conquistare la leadership dei dem sembrava cosa fatta. Con le prime rilevazioni «coperte» che davano il governatore dell'Emilia Romagna di ben dieci punti avanti rispetto alla sfidante Elly Schlein. Solo che, settimana dopo settimana, il margine tra i due candidati si sta assottigliando sempre di più. Già il 12 dicembre scorso, un sondaggio di Swg per il Tg La7, registrava il trend calante per Bonaccini: quattro punti di vantaggio sulla sua ex vicepresidente in vista delle primarie di febbraio. Sulla data del voto, fissata per il 19 febbraio, prosegue il braccio di ferro tra le correnti. Nelle ultime ore ha preso quota l'ipotesi di una consultazione il 26 febbraio, ma Bonaccini è contrario perché un ulteriore rinvio potrebbe favorire la rimonta di Schlein.
E in effetti ora lo scenario è abbastanza lontano dalla marcia trionfale che all'inizio gli osservatori prospettavano per il frontman dei riformisti del Nazareno. Ma c'è di più. Negli staff dei candidati circolano nuove rilevazioni riservate che prevedono un testa a testa tra Bonaccini e Schlein. A peggiorare la situazione ci si è messa anche la rivendicazione delle celebrazioni del centenario della nascita del Pci nel 2021. Con tanto di successiva pubblicazione sui social di una foto che ritrae l'aspirante leader del Pd sotto una bandiera con falce e martello e la scritta «sez. porto di Livorno». Il tutto a margine delle polemiche per il recente ricordo del Msi da parte di esponenti di Fratelli d'Italia come Isabella Rauti, Ignazio La Russa e del premier Giorgia Meloni.
Se l'amarcord comunista è stato un tentativo di competere a sinistra con la radical Schlein, la mossa non ha sortito gli effetti sperati. La neo-deputata, infatti, sta proponendo una piattaforma decisamente progressista, quasi in sovrapposizione con il rampante M5s di Giuseppe Conte, ma senza mai scadere nella nostalgia.
Il rischio di sfondoni pericolosi in grado di avvantaggiare l'avversaria è percepito come concreto all'interno dello stesso cerchio magico di Bonaccini. Una squadra molto rodata, tutta cresciuta in Emilia Romagna, che lo ha accompagnato nella decisiva trasformazione mediatica da grigio burocrate del post-comunismo emiliano a pragmatico «uomo del fare» dal look hipster. «La verità è che Bonaccini è un personaggio abbastanza costruito, ma ora tocca fare attenzione, perché bisogna evitare errori e parlare il meno possibile», confessa al Giornale - con la garanzia dell'anonimato - una fonte ben inserita nei Palazzi della politica regionale a Bologna. Chi conosce il candidato alla segreteria del Pd parla di un politico «impulsivo», piuttosto incline alle gaffe. «Potremmo commettere errori di comunicazione», il timore negli ambienti più vicini a Bonaccini.
La corsa del governatore è funestata pure dai dubbi sulle alleanze. L'ex renziano ha detto di voler tenere insieme il Terzo Polo e il M5s, ma anche i suoi sanno che il proposito è velleitario. E poi c'è quello che nel Pd chiamano il «fattore Franceschini». Che è Dario, ministro uscente della Cultura, influente colonnello del Nazareno, sostenitore di Schlein, uno che di solito sa da quale parte buttarsi. La strada è diventata in salita per Bonaccini. E rischia di complicarsi ulteriormente aumentando i concorrenti.
A insidiare la leadreship spunta infatto il banchiere bergamasco - ex Banca mondiale - Antonio Guizzetti. È lui stesso a farsi avanti, in un'intervista al sito di Repubblica, annunciando che punta a raccogliere 4mila firme.
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