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Bond, rate e fasce di merito. Ne inventano di tutte per evitare i maxi rimborsi

I tecnici studiano come scongiurare il salasso da 16 miliardi. Dietrofront della Consulta: diritto alla restituzione, ma decide la politica

Bond, rate e fasce di merito. Ne inventano di tutte per evitare i maxi rimborsi

È inutile bussare a denari. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan non apriranno i cordoni della borsa per pagare ai pensionati tutti gli arretrati connessi alla mancata indicizzazione degli assegni conseguenti al blocco decretato dal «Salva-Italia» dichiarato incostituzionale. Il conto salatissimo della perequazione (all'incirca 16,6 miliardi di euro secondo la Cgia di Mestre) non è sostenibile per le casse dello Stato e, quindi, i pensionati dovranno mettersi l'animo in pace. Per qualche ora, hanno rischiato anche di vedersi rimborsati tramite Bot, ma - in maniera informale - Via XX Settembre ha escluso questa ipotesi.

Anche la stessa Corte Costituzionale ieri ha in qualche modo fatto retromarcia sulle indiscrezioni fatte filtrare da Palazzo dei Marescialli: non è stato affermato che la sentenza sia «autoapplicativa» (istituisce, sì, un diritto ma non fa scattare subito l'obbligo di restituzione) e la politica «può adottare i provvedimenti del caso». Insomma, la vecchia riforma pensata da Mario Monti ed Elsa Fornero non è più in vigore, ma il governo è liberissimo di decidere di regolarsi per il meglio. Cioè, può anche non restituire tutto a tutti. Al limite, ci si rivedrà al prossimo ricorso alla Consulta. Ma chi riceverà un rimborso quanto si vedrà corrisposto? E soprattutto quanto costerà al governo?

L'ex presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, Alberto Brambilla, ha stimato in 3,6 miliardi l'impatto netto degli adeguamenti riferiti ai soli anni 2012 e 2013, quelli interessati dalla determinazione della Consulta. Al costo lordo di 6 miliardi circa andrebbero infatti sottratti i maggiori introiti Irpef. Secondo Brambilla, basta rateizzare in tre anni per contenere l'esborso a 1,2 miliardi, meno del «tesoretto» annunciato un mese fa. D'altronde, lo Stato non ha mai pagato in un'unica soluzione in situazioni analoghe. Erano circolate, inoltre, voci relative indennizzare i pensionati con titoli di Stato emessi ad hoc, come ai tempi del maxitaglio di Dini. Al di là delle perdite potenziali connesse a un eventuale andamento negativo dei mercati (come quello degli ultimi giorni), il ministro Padoan e i suoi tecnici vorrebbero scongiurare questa ipotesi che creerebbe ulteriori problematiche nella gestione del debito pubblico.

Tutto risolto? Non proprio. Perché se si ritorna alle parole del sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti, che pure ieri ha ripetuto che «rimborsare tutti sarebbe una follia», aggiungendo che «una soglia di 5mila euro potrebbe rappresentare una misura giusta», la prospettiva cambia molto. Innanzitutto perché un tale intendimento vorrebbe dire restituire l'indicizzazione al 99% circa della platea potenziale e, in secondo luogo, perché a quel punto non si potrebbe fare a meno di scaglionare l'entità del rimborso a seconda del reddito, come avveniva in passato quando si restituiva il 70% dell'inflazione fino ai 1.500 euro e niente al di sopra. Tutto questo limiterebbe di molto l'esborso.

E quindi, ritornando alla prima domanda, quei pensionati che attualmente percepiscono 1.500 euro netti mensili potranno mai vedersi corrispondere quei 2.540 euro di arretrati che, a conti fatti, spetterebbero loro? Non in un'unica soluzione, non subito e probabilmente anche meno. Per Renzi sarebbe spettacolare garantire a giugno qualcosa per farsi bello in campagna elettorale, ma le finanze non consentono elargizioni.

Come ha ricordato ieri la Consulta, soprattutto, la costituzione di un diritto non impedisce agli «interessati di adottare le iniziative che reputano necessarie». Volendo, si può anche fare ricorso. E con la velocità media dei Tribunali italiani, campa cavallo..

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