Boom di ricorsi per restare da noi E la Cassazione rischia l'intasamento

Migliaia di clandestini respinti si appellano alla suprema Corte

Boom di ricorsi per restare da noi E la Cassazione rischia l'intasamento

Un boom impressionante, e che non pare destinato a ridurre la sua corsa. Decine di migliaia di migranti che si vedono respingere la richiesta di protezione (ovvero di asilo) in Italia ricorrono ai tribunali, dove nella maggioranza dei casi si vedono dare torto: a quel punto ricorrono in Cassazione. Il risultato è una crescita esponenziale delle cause davanti alla Suprema Corte, che in un anno ha visto crescere i ricorsi dei richiedenti asilo addirittura del 512,40 per cento.

Lo ha reso noto ieri il presidente della Cassazione, Giovanni Mammone, nel suo discorso inaugurale dell'anno giudiziario. É un dato che rischia di intasare il lavoro del massimo organo della giustizia italiana, già oberato di processi, ma che ha ragioni concrete e probabilmente durature. Il più semplice da considerare è il decreto legge che ha eliminato la possibilità per i migranti di ricorrere in appello contro la bocciatura dei loro ricorsi da parte dei tribunali: una misura introdotta non dal governo gialloverde ma da quello a guida Pd (premier Gentiloni, ministro della Giustizia Orlando) nel 2017, tra le proteste delle associazioni dei migranti e delle toghe di sinistra. La conseguenza è che i migranti saltano un passaggio e vanno a bussare direttamente alla porta della Cassazione.

E i numeri sono destinati ad aumentare perché si sta allargando il fossato tra la linea sempre più rigida seguita dalle commissioni territoriali insediate nelle Prefetture, le prime chiamate ad esaminare le richieste di asilo, e le decisioni assai più comprensive che vengono assunte dalla magistratura, divenuta di fatto il vero salvagente dei profughi.

Le statistiche più recenti sono quelle fornite dal Viminale e provenienti dalla Commissione nazionale per il diritto d'asilo, con a capo il prefetto Sandra Sarti. Nel primo mese del 2019 sono state esaminate dalle commissioni 4.530 richieste. Sono stati concessi il 9% di status di rifugiato, il 6% di protezione sussidiaria e il 2% di protezione umanitaria, mentre sono state respinte il 78% delle domande. Nello stesso periodo del 2018, le domande respinte erano state solo il 57% .

É chiaro che questo brusco inasprimento da parte delle Prefetture aumenta il numero di ricorsi alla giustizia ordinaria da parte dei «respinti». Circa il 20 per cento (secondo il dato milanese) si vede dare ragione già in tribunale, gli altri approdano in Cassazione, dove sanno spesso di trovare ascolto. «Bisogna evitare ogni regressione in materia di diritti umani», dice d'altronde ieri il presidente Mammone.

E sembra così rivendicare la svolta «storica» che il 23 febbraio 2018 è arrivata con la sentenza della Prima sezione, che ha ridisegnato, allargandolo sensibilmente, il concetto dei «diritti umani» la cui violazione nei paesi di origine può dare diritto a rifugiarsi in Italia, inserendovi «la salute, l'instabilità politico-sociale nel paese di origine, la povertà e soprattutto l'integrazione sociale». Si tratta di condizioni comuni a buona parte dell'Africa e a numerosi paesi orientali, che finora la Cassazione stessa aveva ritenuto insufficienti a concedere l'asilo.

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