Dopo il plebiscito per il «No» uscito dalle urne, questa mattina Piazza Affari si risveglierà con il batticuore, e con un'alta probabilità di lasciare sul terreno molto più del rimbalzo (+4,4% l'indice FtseMib) accumulato la scorsa settimana. A vincere è stato l'«hard no» e Renzi ha aperto la crisi istituzionale, ciò che i mercati temevano di più. I primi segnali di tensione si sono materializzati già ieri notte sull'euro (in calo dell'1% sul dollaro) e ora le osservate speciali sono le banche e i Btp. «Il mercato si era già posizionato per un'eventuale vittoria del No, ma per una vittoria benigna. Ovvero gestibile anche dal punto di vista di una possibile successione: una sorta di Renzi bis anche senza Renzi ma con il suo sostegno che tenesse in piedi il budget e cambiasse la legge elettorale. Se invece non ci sarà un suo successore che farà almeno queste due cose in modo credibile, allora sì che rischia», commenta a caldo Gianluca Codagnone, managing director di Fidentiis. E gli aumenti di capitale delle banche? «Unicredit potrebbe anche decidere di rimandare la ricapitalizzazione mentre Mps ormai è in ballo e deve ballare». Secondo Codagnone, comunque, per comprendere la vera reazione delle Borse alle dimissioni di Renzi si dovrà attendere almeno una settimana.
Le quotazioni delle banche sono infatti strettamente correlate all'andamento dei Btp che hanno in cassaforte. E proprio i titoli di Stato sono uno degli obiettivi prediletti della speculazione, malgrado la Bce di Mario Draghi sia pronta a stringere la rete di sicurezza. La più esposta agli scossoni resta quindi Mps (-5,4% venerdì scorso), il cui aumento di capitale da 5 miliardi è appeso alla disponibilità degli emiri del Qatar. Se qualcosa andasse storto sarebbe infatti difficile trovare una soluzione diversa da una nazionalizzazione. La tensione promette poi di restare alta sulle banche popolari. A pesare è il fatto che il Consiglio di Stato ha sospeso la riforma imposta da Renzi a gennaio 2015 con il sospetto che sia anticostituzionale. Nel mirino la circolare di Bankitalia che autorizza le banche a limitare (fino a cancellarlo) il diritto di recesso dei soci dissenzienti.
L'ultima parola spetta alla Suprema Corte: Tesoro e Bankitalia lavorano a una soluzione correttiva. Il nodo immediato è Popolare Bari, che non è quotata e ha fissato il recesso a 7,5 euro per una autovalutazione di 1,2 miliardi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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