Forse Matteo Renzi ha davvero sperato, per qualche giorno, che la piccola ma accanita minoranza interna al suo partito fosse disposta a sospendere la guerriglia per il bene delle riforme e di quella che il vecchio segretario Pier Luigi Bersani soleva chiamare «la Ditta». O forse, perché tutto si può dire del premier tranne che sia ingenuo e non conosca i suoi polli, ha solo voluto ritagliarsi il ruolo di leader unitario del Pd, lasciando agli altri l'onere di rompere.
Fatto sta che l'improvvisa ondata di virulenti attacchi al quartier generale partiti ieri dalla sinistra Pd dopo una frase estrapolata di Maria Elena Boschi, dimostra definitivamente che la fronda anti-renziana del Pd è decisa a boicottare in ogni modo il referendum. Come spiega uno dei bersaniani, «se Renzi vince il referendum, al congresso del Pd ci asfalta». Per non parlare delle successive liste per le politiche del febbraio 2018 (data ipotizzata dal premier). Dunque bisogna impallinare il premier prima, e la vittoria del No è la sola chance. Non per ragioni di merito della riforma, di cui interessa poco a Bersani e compagni, ma perché è appunto l'unico e ultimo terreno di una possibile rivincita contro il segretario che - è il loro cruccio - ha tolto le chiavi di quella Ditta agli ex Pci.
La ministra Boschi è rea di aver sottolineato - in tv dalla Annunziata - come nell'Anpi ci siano molti «veri partigiani» (e non, come quasi tutti gli iscritti Anpi, ormai, gente che per età, come massimo esempio di lotta partigiana, ha fatto i girotondi contro la Standa di Berlusconi) che voteranno sì, facendo l'esempio del comandante Germano Nicolini che ha annunciato di non voler votare contro la riforma con Casa Pound, Salvini e il comico.
Apriti cielo. Interrompendo la siesta domenicale, Bersani lancia l'anatema via Facebook: «Come si permette la ministra Boschi di distinguere tra partigiani veri e finti? Chi crede di essere?». E giù epiteti: «Sconsiderata! Avventurista!». Per poi culminare in un avvertimento: «In nome di una mezza riforma del Senato si rischia di creare una frattura insanabile nel mondo democratico e costituzionale». Parole che, fatta pure la tara del solleone quasi estivo, suonano come un velato preannuncio di scissione. Non tanto dal partito, quanto dal fronte del Sì su cui Renzi sperava di compattare il Pd. Già la definizione di «mezza riforma» è indicativa di chi si prepara a tirarsi fuori dalla campagna referendaria, ed è alla assidua ricerca dei pretesti per imputare a Renzi e ai suoi la «frattura insanabile». Del resto, i preannunci che questa fosse l'aria, nella minoranza Pd, non mancano. Giusto ieri Gianni Cuperlo, in un'intervista a Repubblica, metteva anche lui le premesse per tirarsi fuori dal fronte del Sì: «Se il premier usa il referendum come checkpoint di una futura maggioranza, non mi troverà a fare il tifo». Togliere consensi da sinistra al Sì è l'obiettivo della polemica sulla Boschi, cui subito si uniscono Pippo Civati e Sinistra Italiana. La ministra denuncia le «evidenti strumentalizzazioni» della sua frase. Ma intanto viene scovato e gettato nella mischia, contro il partigiano Nicolini, un certo partigiano Eros che tuona: «I partigiani veri voteranno tutti per il No. Non consentiremo alla dama bellina (la Boschi, ndr) di storpiare la Costituzione».
A sera è l'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano a mettere ulteriore pepe sul referendum: «Ho dato l'incarico a Renzi, come prima a Letta, con l'impegno di portare avanti le riforme.
Ma se ci fosse una sconfitta sulla riforma della Costituzione è chiaro che il premier senza poter dire che sia stata sua responsabilità si troverebbe in una situazione estremamente difficile. Ma non vorrei che si parlasse sempre di questo». Non si parla d'altro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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