Cronaca giudiziaria

Bossetti, i Ris contro la pm "Dna nei reperti rovinati"

Lo stupore della Ruggeri in Procura a Venezia: "Quel materiale non si poteva più utilizzare"

Bossetti, i Ris contro la pm "Dna nei reperti rovinati"

«Io sono abbastanza meravigliata. La parte residuale che era rimasta in quelle provette erano quasi tutte muffe, rimasugli, materiale scadente...». Letizia Ruggeri, il pubblico ministero che ha dedicato anni di vita a scoprire l'assassino di Yara Gambirasio, ieri non parla, non commenta la notizia che la vede iscritta nel registri degli indagati per depistaggio e frode processuale. Per lei parlano però, negli atti dell'inchiesta, le dichiarazioni che ha fatto quando è stata convocata dalla Procura di Venezia che indagava in seguito alla denuncia dei legali di Massimo Bossetti: l'uomo che una sentenza ormai definitiva considera, aldilà di ogni ragionevole dubbio, l'assassino nel 2010 di Yara Gambirasio. E che dalla cella dove sconta l'ergastolo continua a protestare la propria innocenza.

L'accusa contro la Ruggeri ruota tutta intorno alle 54 provette con il Dna dell'assassino di Yara, «Ignoto 1», conservate a meno 80 gradi al San Raffaele di Milano e spostate nel 2019, su ordine della pm, in tribunale a Bergamo, a temperatura ambiente, nonostante i carabinieri avessero avvisato la Ruggeri che si sarebbe danneggiata la conservazione. Per i difensori, la Ruggeri fece apposta, per impedire nuove analisi, più moderne, che avrebbero potuto scagionare Bossetti. Così nella nuova inchiesta di Venezia tutto ruota intorno a una sola domanda: cosa c'era davvero, nelle provette conservate nell'ospedale milanese?

Qui le carte raccontano di due verità opposte, inconciliabili. Nel suo interrogatorio, quando si proclama «abbastanza meravigliata», la Ruggeri viene chiamata a replicare non alle tesi dei legali di Bossetti ma alle dichiarazioni di due uomini che hanno lavorato all'inchiesta al suo fianco: il comandante dei Ris Giampietro Lago e il genetista Giorgio Casari. Sono stati loro a mettere a verbale che nelle 54 provette c'era materiale più che sufficiente per sequenziare di nuovo il Dna, spazzando via ogni dubbio. Come dice alla Ruggeri il pm d'Ippolito: «Io le contesto che il professor Casari e il colonnello Lago hanno qui detto, da me interrogati, che l'esame era assolutamente ripetibile e che c'era del Dna sufficiente per poter effettuare una nuova comparazione e vedere se quel Dna era effettivamente oppure no il Dna di Bossetti. Hanno detto assolutamente sì", si sono espressi in termini di assoluta certezza». La Ruggeri risponde secca, «ho tutti i verbali del processo in cui è emersa una cosa completamente diversa, il materiale era inidoneo per qualsiasi altra comparazione». E conclude: «Il Dna di Bossetti, così bello, così limpido, di cui abbiamo parlato per tutte queste udienze, così inequivocabile, da quei reperti non verrà mai più fuori».

Sono, come si vede, due versioni opposte che arrivano da fronti in teoria alleati. In questa spaccatura si infila la difesa di Bossetti, che accusa la pm bergamasca di avere «con coscienza e volontà» fatto spostare le provette «con l'evidente finalità di sottrarrei i reperti alle indagini e di chiudere definitivamente la partita processuale».

Ora, a cercare di fare luce, l'indagine veneziana.

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