Sono passati trentacinque anni esatti e la Lega è ancora lì. Tra alti e bassi, inizialmente liquidato come un fenomeno passeggero, considerato da molti un movimento solo folcloristico per il richiamo ai riti celtici e alle ampolle, il partito fondato da Umberto Bossi non solo è il più vecchio d'Italia ma oggi gode anche di ottima salute.
Era il 12 aprile del 1984, in una bella giornata di sole primaverile, quando un gruppetto di sei persone si presentò nello studio del notaio Franca Bellorini di Varese. È in via Bernasconi, al civico numero 1, che nasce ufficialmente la Lega Autonomista Lombarda. Prima - il 21 marzo 1986 - viene ribattezzata Lega Lombarda, poi - il 4 dicembre 1989 - diventa Lega Nord, visto che Bossi riesce a federare in un unico movimento le diverse Leghe (Lega Lombarda, Liga Veneta, Piemònt autonomista, Union ligure e Lega emiliano-romagnola). L'ultimo passaggio è storia recente, con Matteo Salvini che un anno fa ha formalizzato la già annunciata nazionalizzazione del Carroccio: non più Lega Nord, ma solo Lega. Una decisione messa nero su bianco con tanto di circolare a tutte le sedi periferiche: via la scritta «Nord» da tutti i simboli ufficiali delle sezioni sul territorio, via dalle comunicazioni, dalle carte intestate, dalle bandiere, dalle mail e perfino dal merchandise di cui la Lega è produttrice massiccia e fantasiosa. Bossi, è cosa nota, non ha gradito. «Sei un nazionalista fascista», mandò a dire a Salvini quando a fine 2017 iniziò a ipotizzare il cambio di nome. Gli scettici nel Carroccio erano in molti, perché la vocazione del movimento è sempre stata legata al Settentrione più produttivo. Ma i risultati e i sondaggi che continuano a dare la Lega intorno al 30% danno evidentemente ragione a Salvini.
D'altra parte, non c'è dubbio che il partito fondato trentacinque anni fa dal Senatùr oggi non è più lo stesso. Quel che è rimasto immutabile, invece, è il simbolo dell'Alberto da Giussano. Ideato proprio da Bossi e depositato insieme al primo Statuto al notaio Bellorini. Quel 12 aprile di trentacinque anni fa si presentano in sei, tra cui Manuela Marrone (futura moglie di Bossi) e Giuseppe Leoni, destinato tre anni dopo a diventare il primo ed unico deputato della Lega Lombarda (con Bossi che sarà invece l'unico senatore). Ed è proprio Leoni a polemizzare con Roberto Maroni. «Dice di aver fondato la Lega insieme a Bossi, ma lui - puntualizza Leoni - quel 12 aprile 1984 non c'era. Nemmeno sotto il tavolo...».
Passati trentacinque anni, dunque, la Lega ha cambiato veste. Sotto il profilo estetico, visto che il colore di riferimento non è più il verde ma il blu. Ma anche nei contenuti, con Salvini che ha puntato tutto su sicurezza e sovranismo. Eppure i due leader - il primo e l'ultimo - di punti in comuni ne hanno tanti. Con Bossi, infatti, l'insindacabilità del capo è sempre stata una regola d'oro. Il dissenso non è mai stato ammesso e ne sanno qualcosa i vari Pierangelo Brivio, Roberto Gremmo, Franco Castellazzi, Fabrizio Comencini, Franco Rocchetta, Gianfranco Miglio, Vito Gnutti, Domenico Comino, Marco Formentini, Giancarlo Pagliarini. Salvini applica la stessa regola, basta chiedere ai tanti che non hanno trovato posto in lista alle ultime elezioni. In comune, però, hanno anche un primo amore per la sinistra. L'attuale leader della Lega, infatti, negli anni del Parlamento del Nord - era il 1997 - si candidò con la corrente dei Comunisti padani. In pochi sanno che anche il giovane Bossi ebbe una folgorazione per il Pci. Lui ha sempre negato, ma il registro dei tesserati della sezione di Verghera (a Samarate, in provincia di Varese) parla chiaro. E alla lettera «B», dopo tal Franco Bonafin e prima di Gianfredo Bassani, riporta proprio il suo nome: Umberto Bossi. Era il 1975.
È della primavera dell'anno prima, invece, una foto del futuro Senatùr che, accosciato e con il pugno chiuso alzato, partecipa sotto la bandiera «Cile libero» ad una raccolta fondi a favore delle vittime di Pinochet. Dieci anni più tardi avrebbe fondato la Lega.
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