Il braccio di ferro Renzi-Juncker continua a colpi di «me ne frego»

Il premier al capo dell'esecutivo Ue: non m'interessa che dice

Roma Dal «me ne frego», di Jean Claude Juncker al «non mi interessa» di Matteo Renzi. Le relazioni italo-europee degenerano e prendono una piega nichilista. Roma e Bruxelles adottano toni che fanno il verso a quel populismo che sia il presidente della Commissione europea sia il premier italiano cercano di contrastare, il primo rivendicando un ruolo politico dell'esecutivo Ue, il secondo con una politica economica «espansiva» e in deficit. E il punto di attrito è proprio questo.

Ieri, al termine dell'Ecofin, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha cercato di nuovo di negare contrasti con l'Unione. Ma i problemi sono tutti in piedi. L'Europa contesta una legge di Bilancio che è oggettivamente oltre le regole europee, l'Italia cerca di limitare i danni, confermando la richiesta di spese extra per lo 0,4% di Pil, contro una cifra molto più bassa proposta dall'esecutivo europeo. Non lo 0,1% come sostenuto lunedì dal presidente del governo europeo. Forse qualcosa di più. Poi ci sono le previsioni di crescita dell'Italia che sono troppo ottimistiche, anche se sempre Padoan ha assicurato che quelle che verranno diffuse oggi dalla Commissione non saranno molto distanti dalle nostre.

Tecnicismi, rispetto allo scontro degli ultimi due giorni che è tutto politico. «Il tempo dei diktat è finito», ha attaccato ieri Renzi durante una serie di visite in Piemonte, riferendosi alle parole di Juncker. Ma poi lo stesso premier conferma la sua minaccia: «Noi mettiamo il veto sul bilancio, siamo disponibili a fare la nostra parte se anche gli altri fanno la loro». Tradotto, l'Italia proverà a bloccare il bilancio europeo contestando i contributi ai Paesi dell'Est. «Siamo il bancomat dei Paesi dell'Est Europa ma poi quegli stessi Paesi quando si tratta di gestire la crisi migratoria, su cui hanno firmato documenti in cui s'impegnano a prendersi cura, non lo fanno, e allora si crea una frattura». E ancora: «Non mi interessa cosa dice il portavoce della Commissione o il portavoce del Consiglio». Battuta che può essere riferita effettivamente ai portavoce. Oppure un declassamento di Juncker. I toni antieuropei del premier già da tempo hanno l'obiettivo di raccogliere consensi fra gli italiani che non vedono di buon occhio l'Unione europea. E fare guadagnare consensi al Sì. Cercando di non farlo passare, oltre che un voto sul governo, come un referendum sull'Europa.

Ieri il presidente della Commissione si è di nuovo difeso e ha cercato di ricucire dicendo che «Non siamo un gruppo di tecnocrati», che la Commissione ha un carattere politico, che lo spirito dei patti europei non va tradito.

Ma dopo l'Ecofin (che si è occupato di stabilità delle banche), Padoan ha sottolineato come le cifre citate dal Juncker a proposito del deficit «sono state corrette», perché quelle riportate dai media «francamente non tornavano». La conferma che l'Italia, almeno per il momento, non si muove da quanto scritto nella legge di Bilancio.

AnS

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