Il Brasile è di nuovo di Lula. Ma il Paese resta spaccato. I camionisti bloccano 11 Stati

Il Brasile non è un Paese per principianti, come diceva già a suo tempo il mitico Tom Jobim

Il Brasile è di nuovo di Lula. Ma il Paese resta spaccato. I camionisti bloccano 11 Stati

Il Brasile non è un Paese per principianti, come diceva già a suo tempo il mitico Tom Jobim. E così mentre nella redazione di O Globo i giornalisti esultavano come ad un gol di Neymar alla notizia ufficiale della vittoria di Lula (e sì che il calciatore appoggiava Bolsonaro), ieri i camionisti bloccavano le principali strade in 11 stati del Paese.

Entrambi avevano i loro motivi, molto pratici. La concessione televisiva di Globo, infatti, è scaduta lo scorso 5 ottobre, tre giorni dopo il primo turno e forse, anche per questo potrebbero pensare i maligni, il sondaggio Ipec commissionato dal gruppo mediatico era quello che dava come probabile la vittoria di Lula già un mese fa. Bolsonaro non ha mai detto che l'avrebbe rinnovata in caso di sua vittoria per la sua guerra aperta con Globo, soprattutto dopo le accuse di volere fare come il venezuelano Hugo Chávez che chiuse il principale canale tv privato a lui ostile, RCTV e, allora, è anche così che si può spiegare il «tifo da stadio» della redazione. I camionisti, invece, vogliono soprattutto che il prossimo esecutivo confermi due misure concesse dal governo uscente, ovvero l'eliminazione delle tasse statali sulla benzina, che fanno del brasiliano uno dei carburanti più economici delle Americhe e il «sussidio camionisti», elargito da Bolsonaro per scopi elettorali.

Sono queste le piccole cose che fanno del Brasile un Paese «non per principianti» e, allora, mentre il sito satirico Sensacionalista, visto il silenzio di tomba del presidente sconfitto, twittava «il governo Lula ottiene la prima vittoria facendo tacere Bolsonaro per 16 ore» (in realtà al momento in cui andiamo in stampa non ha ancora parlato, ma lo dovrebbe fare nella notte italiana), il futuro presidente cominciava ad articolare i nomi dei ministri che entreranno in carica con lui, a partire dal 1° gennaio del 2023.

Se sull'Economia è certo che si tratterà di una nomina politica, sulla Giustizia il nome in pole position è quello dell'ex governatore del Maranhão, il senatore Flavio Dino, mentre il leader alla Camera del Partito dei Lavoratori, il PT di Lula, il deputato Reginaldo Lopes, sarà quasi certamente il prossimo ministro dell'Educazione. Favorito a detta dei media brasiliani per concordare la transizione, che dovrà iniziare entro stasera come prevede la Costituzione verdeoro, è il vicepresidente eletto, l'ex governatore di San Paolo, Geraldo Alckmin. Sicuramente tra i nuovi ministri che, per la cronaca, Lula ha già detto di voler aumentare dai 24 attuali a 37, ci sarà il governatore di Bahia, Rui Costa, anche lui del PT.

Se Bolsonaro ha taciuto a lungo, ieri pomeriggio si è fatto sentire su Twitter uno dei suoi figli, il senatore Flávio: «Grazie a tutti coloro che ci hanno aiutato a salvare il patriottismo, che hanno pregato con noi e sono scesi in piazza, che hanno dato il loro sudore per il paese che sta lavorando e hanno dato a Bolsonaro il voto più grande della sua vita! Alziamo la testa e non molliamo il nostro Brasile! Dio al comando!».

Da segnalare, infine, la telefonata più importante di quelle ricevute da Lula e durata 20 minuti, quella di Joe Biden. L'inquilino della Casa Bianca ha chiamato per congratularsi elogiando «la forza delle istituzioni democratiche brasiliane dopo elezioni libere, eque e credibili».

I due leader hanno discusso della forte relazione tra Stati Uniti e Brasile e si sono impegnati a continuare a lavorare insieme per affrontare le sfide comuni, in primis la lotta ai cambiamenti climatici, la salvaguardia della sicurezza alimentare, la promozione dell'inclusione e della democrazia e la gestione della migrazione regionale.

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