Confusione, rassegnazione ma anche forte preoccupazione che le cose possano anche peggiorare. A 13 giorni dal 29 marzo, data fissata per l'uscita dalla Ue, l'aria che si respira nel Regno Unito in queste giornate cruciali al limite della drammaticità ce la descrive Anthony Cartwright, classe 1973, scrittore inglese il cui romanzo ambientato ai tempi della Brexit, Il Taglio (edito da 66thand2nd) è stato paragonato ai capolavori di Dickens.
Dall'Europa assistiamo stupiti al caos britannico. Qual è la sua sensazione e più in generale quella dei suoi connazionali?
«È chiaro che il governo ha perso il controllo della Brexit. C'è una febbre politica grave, un clima di profonda divisione, che non riguarda però solamente i Leavers, pro-Brexit, e i Remainers, europeisti».
Quali altre divisioni?
«Quelle radicate, sociali ed economiche, del nostro Paese. La Brexit è un sintomo, non la causa dei nostri problemi. E da quando si è svolto il referendum non siamo ancora stati capaci di affrontarli. Il nodo della questione è il collasso dell'industria, che ha provocato una rabbia confluita a sorpresa nel referendum del 23 giugno 2016».
La Brexit nasce da questo, non dal rigetto dell'Unione europea?
«Il problema è la disuguaglianza con cui è distribuita la ricchezza, non solo fra gli individui ma anche fra le regioni, un'ingiustizia economica sistemica».
Lei che proviene dalle Midlands lo sa bene?
«Sì, lì come nelle aree che hanno votato a sorpresa ma massicciamente per la Brexit, compreso il Nord dell'Inghilterra e il Galles del Sud, la working class industriale non esiste più. E sono arrabbiati, una rabbia che è lì da circa 40 anni».
Perché non è emersa prima?
«Ironicamente e tristemente quella rabbia è venuta fuori con la Brexit nonostante lo scarsissimo interesse delle persone verso l'Unione Europea. Di solito l'insoddisfazione delle vecchie aree industriali finiva nel voto per il Partito laburista, con il referendum è stata dirottata sul No all'Europa».
Perché sono arrabbiati?
«Colpa della trasformazione della società industriale nell'economia basata sul terziario. All'inizio sembrava positiva: il Paese è ricco, la gente non ha problemi di occupazione».
Poi...
«La realtà è che le persone sono più povere e questo ha amplificato una sensazione di impotenza generale. Il referendum ha fatto emergere tutto ciò».
C'è margine per ricucire?
«Le divisioni si sono esasperate, i pregiudizi anche. E nessuno sembra pronto a colmarli. Dovremmo vergognarci di come è stata gestita la situazione politica, che è davvero terribile. La nostra premier non ha potere e ha perso il controllo della situazione».
La politica britannica si è ammalata?
«È malata da tempo, una combinazione di incompetenza, mista a pregiudizio e corruzione morale. Molti dei nostri politici hanno un comportamento cinico ed egoistico. Guardate Boris Johnson eJacob Rees-Mogg».
I duri della Brexit. Tengono loro in ostaggio il Paese?
«Loro sono espressione di un problema che ha il nostro Paese con la gestione del potere. Pensate alle famiglie da cui provengono, erano destinati al comando. E in questi giorni sembra che abbiano un compiacimento per quello che accade, non lo nascondono nemmeno più».
Colpa dell'élite Tory?
«Io ho un background laburista ma il problema non è il Partito conservatore, è l'establishment britannico».
Ci vorrebbe un secondo
referendum?«Penso che il secondo referendum sarebbe pericoloso. Se vincessero i filoeuropei, chi ha voluto la Brexit si sentirebbe tradito. E sarebbe comunque una vittoria sul filo. Meglio a questo punto elezioni anticipate».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.