Lo spauracchio del no deal diventa il nuovo pomo della discordia nel Regno Unito disunito dalla Brexit. Il dialogo «costruttivo» con i partiti è appena cominciato - avviato dalla premier mercoledì, appena vinto il voto di sfiducia con cui l'opposizione voleva spodestarla - ma sembra viaggiare già su un binario morto. Proprio a causa della prospettiva dell'uscita del Regno Unito dalla Ue senza intesa il 29 marzo 2019. Jeremy Corbyn si rifiuta di incontrare la premier finché il governo non rigetterà l'opzione di una rottura non consensuale, che lui considera la più pericolosa perché porterebbe a una hard Brexit. Lo ha ribadito in una lettera indirizzata al capo dell'esecutivo: «Se lei è seria nel voler raggiungere un accordo, allora il no deal deve essere escluso», ha scritto il leader dell'opposizione, mentre nel frattempo, in un'altra missiva, invitava i suoi deputati a non partecipare ai colloqui con la premier per le stesse ragioni.
Partono insomma sotto una cattivissima stella le trattative con cui la leader di governo deve sondare l'umore dell'Aula, per poi presentare lunedì un piano B che andrà al voto ai Comuni martedì 29 gennaio, circostanza in cui la premier dalle sette vite rischierà ancora la pelle se, come promesso, il Labour presenterà una nuova mozione di sfiducia. «Non c'è nessun segnale che la premier voglia trovare un compromesso» fa sapere la deputata dei Verdi Caroline Lucas. Gli animi sono esasperati. Compresi quelli del partito di governo. Una ventina di ministri della squadra May, in linea con Corbyn «il rosso», si dicono pronti a lasciare se fosse loro vietato, con un ordine di scuderia, di votare a favore di un emendamento che estenderebbe l'articolo 50 di nove mesi, evitando la prospettiva del no deal. Ma May ha già riposto a Corbyn: la richiesta di escludere il no deal è una «condizione impossibile», ha detto la premier, perché non è nei poteri del governo, «a meno che il Parlamento non appoggi un accordo o la Gran Bretagna revochi l'Articolo 50».
È la prova che la frattura principale è ormai transpartitica, più che fra governo e opposizione, fra chi è pronto a un'uscita senza accordo e chi la vuole scongiurare. E ad alimentare lo scontro sul dilemma deal/no deal è arrivato lo scoop del Telegraph che mette nei guai il ministro delle Finanze Philip Hammond. La rivelazione esce dall'arena politica di Westminster e Downing Street e dimostra come gli imprenditori inglesi siano in subbuglio per gli scenari ancora incerti e le prospettive rischiose. Il quotidiano conservatore ha rivelato come nel corso di una conference call con un gruppo di imprenditori, tra cui i vertici di Amazon, Siemens e Tesco, il cancelliere dello Scacchiere abbia assicurato che la «minaccia» di una un'uscita senza accordo sarà «esclusa» nel giro di pochi giorni, probabilmente riferendosi proprio alle mosse parlamentari che alcuni deputati preparano per evitarla. Hammond è una «canaglia», ha replicato un ministro del governo che ha chiesto l'anonimato. Ma l'indiscrezione dimostra che in Parlamento si sta lavorando per by-passare la premier e lavorare a una soluzione contro il no deal che trovi consensi trasversali in un'arena politica frammentata e sempre più litigiosa.
Mentre la premier tornava a escludere con forza un secondo referendum, un gruppo di deputati Tory premeva per una consultazione bis, proprio come continua a fare la base laburista, alla quale nuovamente Corbyn ha risposto di non aver cancellato l'opzione ma di puntare a elezioni anticipate e all'obiettivo numero uno: scongiurare la no deal Brexit.
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