L'ombra della Brexit si allunga anche sull'America. Troppe le incognite legate al voto inglese del 23 giugno per non indurre ieri la Federal Reserve a tenere ancora in canna l'aumento dei tassi. Tutti concordi dunque, i governatori della banca centrale Usa, nel confermare il costo del denaro tra lo 0,25 e lo 0,50%, anche se l'inazione rallenta il processo di normalizzazione della politica monetaria e rende quindi più problematica l'uscita dall'era emergenziale iniziata nell'estate del 2008 con lo scoppio del virus dei mutui subprime.
Era inevitabile. Le turbolenze sui mercati finanziari legate ai timori di un divorzio tra la Gran Bretagna e l'Unione europea non lasciavano spazio ad alcun tipo di forzatura. Senza nascondersi dietro a un dito, la presidente della banca centrale Usa, Janet Yellen, ha ammesso che la decisione nelle mani dei cittadini britannici «è molto importante per il Regno Unito e per l'Unione europea e può avere conseguenze sui mercati globali», con effetti anche sull'economia statunitense. Poi, giusto per essere ancora più chiara, ha precisato: l'eventualità di una Brexit, «è uno dei fattori di incertezza di cui abbiamo discusso nel prendere la decisione di oggi (ieri, ndr)».
Insomma: l'appuntamento col referendum inglese è un tale fattore di potenziale rischio da condizionare le strategie della Fed, peraltro già costretta a fronteggiare non solo le fragilità internazionali (la Cina è un'altra spina nel fianco soprattutto per le ripetute svalutazioni dello yuan), ma anche alle prese con problemi tra le mura di casa. I dati sull'occupazione di maggio, con appena 38mila posti creati, sono stati una doccia gelata sulle aspettative di una crescita sostenuta. La revisione al ribasso delle stime sul Pil ne è la prova. La banca centrale Usa stima ora un'espansione nel 2016 del 2%, contro il +2,2% previsto in marzo; identico sarà il passo nel 2017 (dal +2,1% precedente) e nel 2018. Il mercato del lavoro americano è ancora in buona salute, «ma ha perso slancio» ed è difficile spiegare perchè stia rallentando, ha spiegato la Yellen. Un quadro complessivo perturbato che costringerà la Fed a mantenere i tassi «al di sotto dei livelli di più lungo termine per un certo periodo». Solo ritocchi verso l'alto graduali, e non più di due entro dicembre, anche se su questo punto i governatori sono divisi visto che nel board è salito a sei il numero dei componenti che prevede un solo aumento del costo del denaro. In marzo un solo membro si era espresso per un unico giro di vite.
La Brexit sarà intanto lo scomodo convitato di pietra della riunione di oggi, a Lussemburgo, dei ministri finanziari dell'eurozona. Ufficialmente, il tema non è in agenda (l'incontro è dedicato a inflazione, tasso di cambio e pensioni), ma alcune fonti dell'Eurogruppo hanno ammesso che se ne parlerà e che «tutti stanno lavorando sui rischi per i mercati finanziari». La Bce si sta infatti coordinando con la Banca d'Inghilterra per non far mancare la liquidità necessaria nel caso dovessero prevalere i «leave». Il cordone sanitario, in caso di strappo dall'Unione da parte di Londra, verrà insomma steso a protezione delle Borse, nella convinzione che i bilanci pubblici dovrebbero essere al riparo da ogni tipo di choc. «Non c'è bisogno di un intervento di emergenza di bilancio», hanno confermato le fonti. È la posizione condivisa dal direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, che oggi sarà presente al vertice europeo. L'Fmi presenterà le conclusioni della sua valutazione sull'eurozona e rileverà che la Brexit è uno dei «rischi più significativi» che corre l'area della moneta unica. «Non è un problema di bilanci» e quindi «non c'è alcun bisogno di un piano di contingenza» sui conti pubblici, ma i «principali rischi» saranno solo per i mercati finanziari.
Mercati che ieri, dopo cinque giorni di passione, hanno preso un brodino caldo interrompendo l'impressionante catena di ribassi.
Milano, la più penalizzata nei giorni scorsi, ha recuperato l'1,49%, mentre lo spread tra Btp e Bund si è raffreddato fino a scendere a 140 punti dai 151 di martedì scorso. Rifiatano anche Londra (+0,73%), Parigi (+1%) e Francoforte (+0,92%) e recupera la sterlina. Durerà?
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