Cronache

Brexit, Johnson fa il duro: "Intesa a ottobre o No Deal"

L'avvertimento alla vigilia dei nuovi negoziati. Il FT: "Pronta una legge per aggirare i punti dell'accordo"

Brexit, Johnson fa il duro: "Intesa a ottobre o No Deal"

La Brexit è tornata. Ha viaggiato sottotraccia in questi mesi, oscurata dalla crisi pandemica e dopo 7 infruttuosi round negoziali succedutisi a partire da marzo, una volta a Bruxelles, la successiva veniamo noi a Londra per ricambiare il favore, comincia oggi l'ottavo incontro tra le due delegazioni. Cosa cambia ora? Come si è ripetuto decine di volte nella saga della Brexit, il tempo sta per finire.

Che questa volta la pressione stesse aumentando lo aveva messo in chiaro il caponegoziatore britannico David Frost che in un'intervista al Mail on Sunday aveva ribadito come Londra non cederà sui due punti principali che separano le parti: pesca e aiuti di stato. Si è poi aggiunto lo scoop del Financial Times che domenica sera ha rivelato che il governo inglese intende legiferare su alcuni ambiti coperti dal Withdrawal Agreement e in particolare sul protocollo dell'Irlanda del Nord. Tre sarebbero gli ambiti di intervento di Londra: arrogarsi il potere di definire unilateralmente quali sono i beni a rischio di transitare dalla Gran Bretagna all'Irlanda del Nord e poi all'Ue, che secondo l'accordo firmato a fine dell'anno scorso dovranno essere soggetti a tariffe doganali; togliere la necessità che le imprese nordirlandesi debbano compilare dichiarazioni doganali per esportare beni nel resto del Regno; limitare l'obbligo di dover comunicare a Bruxelles ogni variazione del regime di aiuti di stato che interessa le imprese in Irlanda del Nord, riservandolo a casi specifici. L'implementazione del protocollo sull'Irlanda del Nord è oggetto di un comitato congiunto anglo-europeo i cui lavori, dopo un avvio a rilento, stanno proseguendo con soddisfazione reciproca.

Il governo inglese non ha negato le rivelazioni del Financial Times ma ha parlato di necessità di tutelarsi nel caso entro fine anno, quando le leggi europee non si applicheranno più nel Regno, non sia stato ancora raggiunto un accordo. E ha respinto decisamente, come sostenuto da più parti, di volere unilateralmente riscrivere quanto pattuito con Bruxelles: eventualità che equivarrebbe alla rottura di un trattato internazionale. Il rispetto del Withdrawal Agreement è una precondizione per poter raggiungere un accordo commerciale, hanno fatto subito sapere da Bruxelles, con la Presidente von der Leyen che si è detta fiduciosa che Londra «implementerà il WA, un obbligo legale internazionale e un prerequisito per ogni futura collaborazione». Le illazioni sfumeranno domani quando la lettera della legge sarà resa nota.

Ad acuire le tensioni, inoltre, è intervenuto direttamente il primo ministro inglese che ieri ha rilasciato un comunicato stampa in cui dà tempo alle parti fino a metà ottobre per poter trovare la quadra. Entro l'incontro dei leader europei del mese prossimo si dovrà essere giunti a un accordo, altrimenti «dovremmo tutti accettarlo e andare avanti». Poco più di un mese per ridefinire le quote di pesca della flotta europea nelle acque britanniche: argomento marginale economicamente ma sostanziale per molte comunità inglesi e francesi, di grande rilevanza politica per il successo in patria di Johnson e Macron. Quaranta giorni per definire il regime di aiuti di stato su cui potrà far leva Londra per favorire le sue imprese strategiche: il vero timore che agita Bruxelles. Non si dovesse arrivare a un accordo, prosegue Johnson, si applicheranno le stesse condizioni in vigore tra Ue e Australia, cioè quelle dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e comunque «sarà un buon risultato per il Regno Unito».

Ci credono in pochi.

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